da: la Repubblica
Se
nella città dell’Expo spaventata dai jihadisti a seminare il terrore è un
imprenditore fallito
Milano
si ritrova ferita, umiliata e insicura: è stata la rovina economica, più della
pazzia a mandare fuori di testa quell’avventuriero.
di Gad
Lerner
I responsabili di questa disastrosa
inefficienza degli apparati di sicurezza devono essere puniti con severità. E
speriamo che ci sia il tempo di correre ai ripari dopo una tale esibizione di
sprovvedutezza.
Sullo sfondo, dietro alla pistola fumante
di Claudio Giardiello, aleggia una rabbia ferina, diffusa e inquietante. Le
forze dell’ordine ne sono consapevoli, almeno ai loro livelli più bassi.
Martedì scorso sono andato al Comando della Polizia Stradale in via Jacopino da
Tradate, nella difficile periferia nord-ovest, per pagare una multa.
All’ingresso mi sono ritrovato davanti un agente col mitra e il giubbotto
antiproiettile che mi ha minuziosamente perquisito.
Gli ho chiesto se fosse prevenzione
antiterrorismo e lui mi ha risposto: «Veramente qui arriva gente furibonda, che
vive le contravvenzioni come un sopruso. Dobbiamo controllare che non entrino
armati e non abbiano strane idee di vendetta».
Perché invece a Palazzo di Giustizia, in
pieno centro, un killer può passare indisturbato?
Aspettavamo il terrorista islamico e invece
è arrivato il Conte Tacchia a seminare la morte nel centro di Milano, umiliando
i servizi di sicurezza di una metropoli che sta preparandosi niente meno che
all’Esposizione Universale.
Scartata la matrice jihadista — intorno alla quale, per colmo di beffa, stavano
discettando il ministro Alfano e il prefetto riuniti proprio lì vicino al
Tribunale nell’altisonante Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico — si
era pensato in alternativa a un episodio di sociopatologia da disagio
metropolitano: sono migliaia nell’hinterland milanese gli uomini di mezza età
che dopo aver perso il lavoro entrano nel tunnel della malattia mentale e
devono ricorrere a cure psichiatriche. C’era il precedente del disoccupato
Luigi Preiti che per vendetta due anni fa aveva sparato a un carabiniere
davanti a Palazzo Chigi. Un altro squinternato pochi giorni fa ha esploso colpi
di pistola davanti al Tribunale di Reggio Calabria.
Invece niente di tutto questo. Il
pluriomicida Claudio Giardiello sembra spuntato piuttosto dalla sceneggiatura
del film Il capitale umano di Paolo Virzì. Somiglia maledettamente
all’immobiliarista spiantato Dino Ossola, che nel film è interpretato da
Fabrizio Bentivoglio, un arrampicatore disposto alla truffa pur di ascendere
fra i nuovi ricchi della Brianza. Proprio come Giardiello, brianzolo
d’importazione, arrestato in un centro commerciale di Vimercate dopo aver
sfogato la sua furia omicida sull’ex socio, sul giudice fallimentare e
sull’avvocato che — visto il tipo — aveva rinunciato all’incarico.
Non possiamo neppure tirare in ballo la
grande crisi immobi-liare, visto che la storiaccia dei soldi spartiti in nero
fra i soci della Magenta risale al 2008. Evasione fiscale maldestra, con
protagonisti degni dei soprannomi che si erano attribuiti da soli: Conte
Tacchia, Tinto Brass, il Marchesino, il Predatore. Non fosse una tragedia, ci
sarebbe da ridere e da farci un altro film di genere brianzolo, nonostante le
polemiche suscitate da Il capitale umano in quella provincia che si sentì
diffamata.
La rovina economica dopo il miraggio dei
milioni facili sottratti ai bilanci, ha mandato fuori di testa uno dei tanti
avventurieri nostalgici della Milano da bere. Gente che al cospetto di un giro
d’affari troppo grossi, così grossi da richiamare a Milano i capitali stranieri
tagliando fuori ciò che resta della borghesia ambrosiana, si aggira sperduta ai
margini, ricacciata nella mediocrità.
L’allarme sociale, la nuova violenza
metropolitana, checché ne dicano i profittatori alla Salvini, non ha il volto
degli emarginati di sempre, i soliti famigerati rom. Ci fu, è vero, l’orribile
caso dell’africano Kabobo che in preda a una crisi massacrò a picconate tre
passanti nel maggio 2013 in zona Bovisa. Seguito da un italiano fuori di testa,
il grafico Davide Frigatti, che fra Cinisello e Sesto San Giovanni, accoltellò
a morte un malcapitato e ne ferì gravemente altri due nel giugno 2014. Casi
estremi di malattia mentale che trasforma dei poveracci in assassini, lontano
dai giri dell’immobiliare e dei bilanci truccati. In comune con il giustiziere
killer di Palazzo di Giustizia hanno solo la follia violenta che dilaga in una
società sempre più abituata a considerare le regole come intralcio per i fessi.
Perché l’arricchimento è un terno al lotto, fare fatica è la sorte degli
sfigati. Una malattia sociale, oltre che una malattia mentale.
Milano si ritrova ferita e umiliata proprio
nel luogo simbolo dell’amministrazione della giustizia, là dove, in condizioni
ostiche, si cerca di combatterne la criminalità organizzata sempre più forte e
la corruzione mai estirpata. E proprio qui si misura la gravità dello scandalo
che ci fa sentire in balia del primo violento che passa.
È scandaloso, si è giustamente denunciato, che Claudio Giardiello sia potuto
entrare in Tribunale armato di pistola, eludendo con facilità il controllo dei
metal detector. Ma è addirittura incredibile che dopo aver sparato numerosi
colpi di pistola, quando avrebbe dovuto scattare un collaudato servizio di
sicurezza, mentre centinaia di persone sciamavano in preda al panico,
l’assassino abbia potuto andarsene via indisturbato a bordo della sua moto.
Bravi i carabinieri che lo hanno intercettato a chilometri di distanza. Ma chi
avrebbe dovuto bloccare subito le uscite, e fare filtro per evitare che tra i
fuggiaschi potessero confondersi il killer o chissà quali altri attentatori, si
è rivelato vergognosamente inadeguato. Ieri Milano non ha assistito solo alla
morte assurda di tre innocenti, tra cui un giudice che stava amministrando la
giustizia in nome dello Stato. La città dell’Expo ha anche evidenziato davanti
al mondo di trovarsi in balia — in uno dei suoi punti nevralgici — di chiunque
progetti nei prossimi mesi di seminarvi il terrore.
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