da: la Repubblica
“L’Italia
prenda esempio dalle Nazioni del Nord: puntando sulla solidarietà sono felici e
fuori dalla crisi”
di Federico
Rampini
«Il problema dell’Italia? Avete
disinvestito dal capitale sociale, quel capitale che è fatto di fiducia
reciproca, di relazioni solidali. Per questo siete solo al 50esimo posto
nell’indice globale della felicità». Parla Jeffrey Sachs, l’economista americano
che è tra gli artefici del World Happiness Report. Lo incontro alla New York
Society for Ethical Culture, alla presentazione di questo nuovo Rapporto sulla
Felicità, con i coautori John Helliwell della University of British Columbia e
Lord Richard Layard della London School of Economics. L’Italia è molto in fondo
alla classifica, distanziata dalla Germania (26esima), dalla Francia (29esima),
dalla Spagna (36esima). Peggio di noi, tra i paesi europei, sta la Grecia
(102esima).
Ma colpisce il fatto che la classifica è
dominata proprio da paesi europei. Non si vive affatto male, nel Vecchio
continente. Campioni di felicità sono scandinavi e nordici: occupano cinque
delle prime dieci posizioni. S’infila nel plotone di testa
anche la Svizzera.
Tra le “super-felici”, due nazioni che fino a qualche tempo fa erano assimilate
alla Grecia in quanto a disastri finanziari: Islanda e Irlanda, seconda e
18esima, tra le più serene d’Europa.
Sachs riprende un tema caro a Helliwell e
Layard: «Le catastrofi non ci rendono necessariamente infelici. Anzi. Guardiamo
Fukushima, l’incidente alla centrale atomica giapponese seguito dallo tsunami.
Superata l’emergenza, la gente della zona era più felice di prima. Nella
tragedia c’era stata una solidarietà collettiva, i legami sociali si erano
rafforzati, la fiducia nei propri vicini era aumentata. Qualcosa di simile è
accaduto in Islanda e in Irlanda, nelle modalità con cui hanno reagito alla
grande recessione post-2008. Invece non si è verificato in Italia né in
Grecia». Di cosa parliamo, quando parliamo di felicità? In sostanza la risposta
la diamo noi. Un contributo fondamentale al World Happiness Report lo dà un
sondaggio mondiale Gallup che interroga i popoli sulla propria felicità. Il
metodo è squisitamente democratico e meno arbitrario di altri che attribuiscono
una “saggezza superiore” agli esperti. Chi meglio di noi, sa se siamo felici?
Il World Happiness Report si è conquistato rispetto tra studiosi e
organizzazioni internazionali. «Si fonda su lavori pionieristici dell’Ocse –
ricorda Sachs – e siamo ormai alla terza edizione. Ci lavorano studiosi di
tutte le scienze (compresi gli italiani Leonardo Becchetti, Luigino Bruni,
Stefano Zamagni), dall’economia alla psicologia, dalla sanità all’ambiente – e
le Nazioni Unite hanno adottato una risoluzione per incoraggiare i governi a
farne uso». Sachs dirige lo Earth Institute della Columbia, è consigliere Onu
per la sostenibilità. E spiega come l’indice della felicità dia una misurazione
precisa del nostro benessere. «I tre quarti delle differenze tra le 125 nazioni
classificate – dice – si giocano su sei variabili. Reddito pro capite, speranza
di vita, sostegno sociale, fiducia, libertà nel prendere decisioni, generosità.
Ma tra queste sono tre le componenti più importanti: sostegno sociale, reddito,
speranza di vita». Una crisi economica come quella che ha colpito l’eurozona,
incide: «Grecia e Italia hanno subito i cali più pesanti nelle valutazioni che
le persone fanno sulla propria vita; i cali di questi paesi sono dello stesso
ordine di grandezza di quelli subiti dall’Egitto».
La stessa crisi economia tuttavia non ha
peggiorato la felicità di altri paesi come Islanda e Irlanda. «La divergenza
nelle esperienze nazionali – spiega Sachs – si spiega con la qualità della
governance, della fiducia, e del sostegno sociale. I paesi che hanno un
capitale sociale di alta qualità, cioè fiducia nel prossimo e nelle
istituzioni, reggono meglio i disastri naturali o gli shock economici. Gli
shock diventano l’occasione per riscoprire e migliorare i legami comunitari».
Al contrario, in altri paesi una prolungata crisi economica peggiora la
sfiducia. Sachs elenca i fattori che entrano in gioco quando tutto va storto, e
lo shock genera infelicità: «L’aumento delle diseguaglianze è micidiale. A sua
volta peggiora la fiducia negli altri. I paesi più infelici sono quelli dove si
deteriora la credibilità dei governanti, e dei dirigenti aziendali. Dove gli
abusi sono aumentati a cominciare dall’alto, dalle classi dirigenti. Dove le
élite hanno dei comportamenti anti-sociali, contrari all’interesse generale».
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