giovedì 9 aprile 2015

Adriano Sofri: La preghiera di Cynthia due giorni nell’armadio per salvarsi dai terroristi



da: la Repubblica

Il settimo capretto: e gli altri? Sembra una favola, dentro la tragedia. Rannicchiata nel guardaroba del suo college per due giorni e due notti, ascoltando col cuore in gola le urla e i rimbombi della carneficina, Cynthia Charotich, che ha 19 anni, viene fuori viva, sana e salva. Come nei terremoti dalle cui macerie sbuca un superstite — una centenaria, un neonato — quando ormai si era deciso di sospendere le ricerche. Il terremoto cui è scampata è l’assalto sadico dei militanti Shabab, che ha fatto strage di 150 attorno a lei. Cynthia è una ragazza di disarmante semplicità. Ha stentato a convincersi di essere in salvo. È rimasta chiusa nell’armadio a muro, sotto un mucchio di vestiti delle sue compagne. Ha bevuto una “lozione per il corpo”. Poi racconta: «Ho pregato il mio Dio». Non avrebbe detto così, avrebbe detto: «Ho pregato Dio», se gli assassini non avessero appena rinnovato il loro infame esame di teologia, salvato chi sa recitare una riga di Corano, dannati gli altri. Racconta di avergli detto, al suo Dio, che se aveva disposto che fosse venuta la sua ora allora era pronta, e se no, che la salvasse.
Naturalmente, se non fosse un pensiero così ingenuo sarebbe una bestemmia: non era arrivata l’ora delle sue compagne e dei suoi compagni. È toccante, perché viene da una ragazza che ha perduto di colpo la fiducia in qualunque
altro prossimo suo. È venuta fuori dal suo rifugio solo dopo due giorni, e dopo che il suo professore le ha assicurato che i soccorritori erano veri poliziotti, e non assassini travestiti da poliziotti. La fiducia, quella che permette al genere umano di continuare, sta andando a farsi fottere senza scampo, perfino su un aereo di linea. Nel massacro taliban del collegio di Peshawar, lo scorso dicembre, morirono quasi altrettanti scolari, e uno si salvò facendo il morto, per ore, coperto del sangue di suo fratello. Al Museo del Bardo una coppia spagnola, lei incinta, è restata nascosta per un’intera notte dopo la fine dell’eccidio. Una guardia del museo si è riparato addirittura dentro un sarcofago. I romanzi arrancano dietro la vita vera. A Tunisi gli assassini si erano travestiti da agenti, ma avevano mancato le scarpe: si vedono scarpe di gomma, ai piedi del cadavere di uno dei due. Se finite in una minaccia simile, guardatela dritta nelle scarpe. Al supermercato Hyper Cacher 4 adulti, un bambino di tre anni e un neonato cercarono scampo, e lo trovarono, in una cella frigorifera.
Sono tutte persone comuni, cui improvvisamente succede di avere qualcosa di incredibile da raccontare, ammesso che ne abbiano voglia. Però adesso vorrei raccontare io qualcosa, se non a Cynthia Charotich, a tutti gli altri. È una fiaba famosa dei fratelli Grimm, non me ne sarei ricordato se non avessi una nipotina di quattro anni, che si fa leggere tutto in compendio: Il lupo e i sette capretti . C’era una volta una capra, aveva sette capretti. Dovette andare nel bosco per le provviste, si raccomandò tanto di diffidare del lupo, che ne avrebbe fatto un boccone. Il lupo era furbo, si travestiva. Si travestì, infatti, in varie guise, per sembrare la mamma-capra, finché riuscì a ingannare i piccoli. Li divorò tutti, tranne uno, che si era nascosto dentro la pendola. Poi si mise in panciolle a digerire e ronfare. Torna la povera mamma capra, e si dispera: il settimo capretto, esitante, esce e le racconta la sventura. Allora vanno dal lupo, che dorme e russa della grossa. Ma la sua pancia tumultua: ingordo com’è, li ha ingoiati tutti interi. Mamma capra taglia la pancia e fa uscire i sei piccoli interi, mentre il settimo va a prendere ago e filo. Che gioia! Riempiono la pancia del lupo di grosse pietre e ricuciono, prima che si svegli. Finita la dormita, il lupo ha una gran sete, con i pietroni che gli rimbalzano in pancia: va alla fontana, e per il peso ci cade dentro e affoga. La mamma capra e i sette capretti saltano e ballano giulivi. Ogni volta che ferocia e infamia tramutano un giorno che Dio manda in terra in un incubo — tutti i giorni, ormai — chiedo che cosa fanno le bambine di quattro anni, i bambini di sette. I genitori stanno attenti, direte, a proteggerli: mah. La scena è piuttosto questa: c’è una stanza, i grandi stanno facendo le loro cose (preparano la cena, spediscono mail, guardano le bollette), lo schermo televisivo va avanti per suo conto, e sul pavimento i bambini giocano, da soli o insieme, con le bambole, i camion di plastica, le figurine e gli animali di peluche. In genere parlano, recitano, “spettacolano”, insieme, o anche da soli. A un tratto stanno zitti, la televisione sta dicendo che ne hanno uccisi 148 perché erano cristiani, ma è successo quasi un miracolo, una si è salvata dopo esser stata chiusa per due giorni e due notti, e aver bevuto una lozione per il corpo. Poi i bambini, la bambina, ricominciano a spettacolare, a recitare. Non chiedono nemmeno: “Che cosa vuol dire lozione per il corpo?”
Il settimo capretto, anzi il centocinquantunesimo: e gli altri?

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