da: La Stampa
Un certo pessimismo che ama travestirsi da
realismo porterebbe a dire: come si potranno integrare con la nostra cultura
quei migranti che durante la traversata verso l’Europa hanno buttato a mare i
compagni di sventura di religione cristiana? E a cosa serve espellerli, se
tanto si rimetteranno subito in coda per tornare? L’unica alternativa possibile
allo scoramento ci viene suggerita dal comportamento dei cristiani superstiti
di quel barcone. Invece di accettare la rissa, si sono stretti l’un l’altro in
una catena umana che li ha ancorati allo scafo, impedendo agli aggressori
musulmani di buttarli di sotto con i loro fratelli.
Non esistono altre ricette, nemmeno per
noi. Fermare la migrazione di masse disperate e motivatissime è praticamente
impossibile, a meno di invadere i loro Paesi di provenienza e scatenare una
guerra che produrrebbe ulteriori sconquassi. Sono in atto mutamenti epocali che
ridisegneranno i confini degli Stati arabi al di là del Mediterraneo e portano
già adesso la nostra civiltà a ritrovarsi assediata da pezzi consistenti di
caos. Fin qui la reazione dell’Europa è stata schizofrenica, in un alternarsi
di rimozione e di collera, di menefreghismo per le ecatombi e di scoppi
improvvisi di cordoglio in occasione di qualche tragedia che, come
quest’ultima, si distinguesse dalle altre per un particolare
inedito in grado
di accendere l’immaginazione. E’ mancata la presa d’atto che questo problema
non si può risolvere ma solo assorbire, purché lo si affronti allo stesso modo
da Copenaghen a Lampedusa. Contro l’ondata incontrollabile serve una catena
umana ideale. Una forma di resistenza basata sulla solidarietà e sul buonsenso,
che è cosa assai diversa dal senso comune.
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