da: Lettera 43
Non paghi? Non ti
trasmettono. E resti muto. L'ultima denuncia è di Caputo. Come lui tanti
boicottati: Finardi, Conte, Bennato. Riecco il fantasma mazzette.
di
Massimo Del Papa
Si chiamava payola.
Significa pagare per trasmettere: è una
lunga storia di tangenti d'etere. La corruzione dei dee-jay per decadi si è
sospettata, a volte tollerata. Scoppiò in America e adesso sembra essere
tornato con modi più sfumati, più complicati.
Ma è sempre la solita vecchia storia: tu mi paghi, mi garantisci entrate e io ti sparo nell'etere oppure niente, sei fuori, sei muto e se sei muto e fai il cantante allora non esisti, non hai speranze.
Ma è sempre la solita vecchia storia: tu mi paghi, mi garantisci entrate e io ti sparo nell'etere oppure niente, sei fuori, sei muto e se sei muto e fai il cantante allora non esisti, non hai speranze.
Le emittenti boicottano. Una decina d'anni fa ci fu uno scandalo anche qui, lambì quasi tutti i principali network, poi nessuno ne parlò più.
Sergio
Caputo, quello del Sabato italiano, il continuatore dello
swing all'italiana dei Carosone e dei Johnny Dorelli, è tornato ad agitare il
fantasma: ha fatto un disco nuovo, ma le
radio lo boicottano.
E allora lui ha detto quello che tutti
mormorano, ma non confermeranno mai: la radiopoli, la solita cara vecchia payola.
«Porte chiuse in faccia». L'ha detto in giro, ha concesso una intervista al
sito Rockol, continua a sbottare:
«Quelli come me, come Finardi, come Conte,
sono morti? Fanno i pizzaioli? No, facciamo sempre musica, ma ci chiudono le
porte in faccia».
Caputo non salva nessuna emittente, neanche
la tanto decantata Radio Italia che
per missione avrebbe quella di divulgare il canto tricolore.
Le
radio: «Questioni di gusti». Le radio non rispondono
oppure oppongono ragioni d'etere, si appellano ai gusti dei giovani, ma si sa
che sono invece i gusti di chi trasmette e ha buone ragioni per le sue scelte.
Sullo sfondo, tutto un complicato giro di cessioni di diritti di edizione, di
pacchetti “musica-pubblicità”, di sinergie radiotelevisive, di business dei
concerti che sono ormai l'unico grande affare rimasto alla musica.
Ma insomma si capisce che stringi stringi chi non respira etere sospetta la solita vecchia payola, agevolata da una crisi musicale ormai endemica, conclamata.
Ma insomma si capisce che stringi stringi chi non respira etere sospetta la solita vecchia payola, agevolata da una crisi musicale ormai endemica, conclamata.
Pino
Daniele, Umberto Tozzi e Renato Zero big ridimensionati
I grossi calibri sono scarichi. Il povero
Pino Daniele del suo ultimo e non disprezzabile La Grande Madre, autoprodotto,
aveva venduto poco più di mille copie.
Umberto Tozzi, che tra fine Anni 70 e
inizio 80 macinava milioni di copie, con l'ultimo Yesterday, Today si è fermato
a meno di 7 mila e poi ha sospeso ulteriori pubblicazioni, perché anche lui si
autoproduce.
Renato Zero - che l'ostracismo delle radio
aveva denunciato in diverse canzoni - è passato dai 600 mila cd ai 70 mila
risicati dell'ultimo doppio Amo, e ce l'ha fatta solo raddoppiando il numero
dei concerti perché il primo capitolo aveva fatto segnare una imbarazzante
quota 19 mila. Imbarazzante e preoccupante, avendo lui investito alcuni milioni
di euro nella realizzazione.
Bennato
sotto «ricatto». Edoardo Bennato, per diretta ammissione,
ha un album pronto, un doppio con 20 brani, ma «non trova cane che gli abbai»: gli avevano proposto, racconta Edo, di
andare a Sanremo, ma per lui era un ricatto inaccettabile e allora i brani
restano nel cassetto. Destino che aveva già segnato Enzo Jannacci.
Non c'è niente da fare, la geografia musicale è proprio cambiata. Per una Nannini che fa 100 mila copie con una raccolta (e non ci si crede), per un Vasco Rossi che tiene botta, anche se non più ai livelli del passato (circa 300 mila copie dell'ultimo Sono innocente), ce ne sono tanti, troppi che ammainano le vele.
E
nel 2014 mercato a +7%. E nel 2014, secondo dati ufficiali
Fimi, il mercato è risalito del 7% rispetto al 2013 grazie anche all'espansione
del digitale e dello streaming (legale). Mentre non fa testo il reparto
nostalgia del vinile, cresciuto sì del 36%, ma all'interno di un irrisorio 2,6%
globale.
Oggi
tirano rapper e finti artisti dei talent
È proprio la morfologia a essere diversa.
Oggi tirano - ma per quanto?, una stagione, due - i rapper che piacciono alle
radio, balbettanti erogatori di concetti elementari, tirano le boyband che
piacciono alle ragazzine e i falsi artisti dei talent.
Mentre i festivalbar istituzionali come Sanremo
o l'alternativo Primo maggio non spostano più niente e l'autoproduzione, che
fino a 15 anni fa era la lettera scarlatta, è diventata per tutti l'ultima
thule.
Mondo alla rovescia. Sono usciti «da soli», dopo anni di latitanza, Alberto Fortis e, da pochissimo, Gianni Togni, mentre Eugenio Finardi col nostalgico Fibrillante ha ritrovato visibilità più che altro per essere prodotto da Max Casacci dei Subsonica.
Mondo alla rovescia. Sono usciti «da soli», dopo anni di latitanza, Alberto Fortis e, da pochissimo, Gianni Togni, mentre Eugenio Finardi col nostalgico Fibrillante ha ritrovato visibilità più che altro per essere prodotto da Max Casacci dei Subsonica.
Come a dire il mondo alla rovescia, i
maestri al traino degli epigoni.
Qualcuno attinge dal crowfunding, altri
fanno i salti mortali, vanno a registrare in Est Europa o se la cavano con
quello che hanno in casa.
Mosse online sbagliate. Ma i senatori non
possono cambiarsi la testa. C'è chi, come Baglioni, sbaglia le mosse, libera in
Rete un nuovo disco “spacchettato”, un brano alla volta, ma non è una gran
trovata.
Altri preferiscono togliere il disturbo: Ivano Fossati si è ufficialmente ritirato così come Guccini, ma chissà se è davvero una faccenda di età, di saturazione o non la vita grama del cantautore tornato musicante con le difficoltà, le precarietà, i rischi del caso.
Altri preferiscono togliere il disturbo: Ivano Fossati si è ufficialmente ritirato così come Guccini, ma chissà se è davvero una faccenda di età, di saturazione o non la vita grama del cantautore tornato musicante con le difficoltà, le precarietà, i rischi del caso.
Ora
fanno gola 30 mila copie. Non si sa più come fronteggiare un
passaggio irreversibile e strano, le 30 mila copie dei Subsonica le invidiano
tutti quelli che 30 anni fa ci avrebbero sputato sopra.
Di colpo “indie” non è fico, non è sfigato,
è solo obbligato. Tutti a disputarsi le 5 mila copie che tirano su le spese e
consentono un giro di concerti, tutti anche a fare meno gli schizzinosi di
prima, se invece delle solite stamberghe mascherate da locali capita un teatro
come Dio comanda, con camerini riscaldati e un pranzo da cristiani, è già
grasso che cola.
Un’epoca
musicale è finita. Anche lo stagno alternativo è in
prosciugamento. La livella è arrivata per tutti, un'epoca musicale, quella dei
grandi dischi, dei grandi ingaggi, dei passaggi radio a raffica, dei miliardi
facili (in lire), delle folle oceaniche si è davvero chiusa, almeno in Italia.
Perché anche i cari fan alla fine son
sempre gli stessi, seguono il gruppo, diventano parte della strada, diventano
quasi parenti. E intanto i Caputo passano, ma la payola, o almeno il suo
sospetto, resta. Una lunga sporca storia che è vecchia come la radio.
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