mercoledì 9 novembre 2011

Una tromba d’aria e un barcone


 10 giugno 2009

Guardavo alcune delle persone intervistate dopo la tromba d’aria che ha colpito sabato alcune zone del trevigiano e mi venivano in mente gli immigrati che cercano di sbarcare sulle nostre coste. I barconi respinti.
Che c’entra? C’entra eccome..

C’entra che siamo nel nord-est, in una zona ricca non solo di reddito, ma, anche di testa e braccia che lavorano. Di gente che si è conquistata onestamente e con impegno una casa, un lavoro. Gente che non ama avere tra i piedi “quelli che arrivano qui e governano loro”, “quelli che vogliono fare i loro comodi”, “quelli che ci portano via il lavoro”. Quelli, però, che hanno bisogno di occupare gli immigrati regolari perché i veneti, come altri nordisti, alcuni tipi di lavori non li vogliono più fare. E senza gli immigrati regolari, alcune aziende chiuderebbero.

C’entra che li vedi piangere dopo che una tromba d’aria ha divelto i tetti delle loro case, ha provocato crolli. Tanto e quanto un terremoto. Vedi la loro disperazione. Lo smarrimento. Improvvisamente il tuo mondo normale, onesto, consolidato, che chiede protezione allo Stato, si trova respinto. Non dalla Polizia. Rigettato in una situazione che non controlli. Che ti fa franare il terreno sotto i piedi. Improvvisamente ti trovi inerme a subire qualcosa che non puoi impedire o anche solo delimitare.
Cerchi solidarietà. Ti guardi intorno e vedi altri nella tua condizione. Come su un barcone. Ammassato dopo aver pagato tutto quello che avevi per arrivare lì, dove c’è un’altra vita. Dove c’è la vita. Così ti hanno fatto credere.
Succede così. Che improvvisamente, per un evento che non puoi scansare, sei solo, in difficoltà. E speri di trovare intorno a una via d’uscita. “Come ci si sente. Come ci si sente a starsene per conto proprio, senza una fissa dimora, come un completo sconosciuto. Come una pietra che rotola”, scrive Bob Dylan.
Sei però abituato a lavorare, a impegnarti. Ti hanno insegnato così. Sei cresciuto così. E allora, ti rimbocchi le maniche per mettere fine a quel respingimento. Non senza comunque quel senso di paura, di smarrimento, ti lasci…
Dovremmo riflettere un po’ più spesso sul fatto che da un momento all’altro ognuno di noi potrebbe trovarsi nella stessa condizione di un immigrato ammassato su un barcone alla ricerca della costa sulla quale sbarcare per cercare una vita diversa.
Con ciò, nessuno può venire in questo paese a fare i suoi comodi. Con ciò nessuno può venire in questo paese senza conoscere la nostra cultura e rispettare le regole. Con ciò è troppo facile parlare di solidarietà e integrazione quando si vive in spazi protetti, sicuri. Con ciò, è troppo facile rifiutare la sola idea di una società che sappia accogliere ma anche prevedere e assicurare il rispetto delle regole, quando hai un tetto sicuro, che ti sei – sicuramente – sudato e guadagnato.
Già. Quando ha un tetto sicuro che non viene divelto da un momento all’altro.

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