Il mito delle nuove tecnologie
1. Il monologo
collettivo e l’effetto omologazione
Il sospetto è che
la sempre più massiccia diffusione dei mezzi di comunicazione, potenziati dalle
nuove tecnologie, abolisca progressivamente il bisogno di comunicare, perché
nonostante l’enorme quantità di voci diffuse dai media, o forse proprio per
questo, la nostra società parla nel suo insieme solo con se stessa.
Infatti, come
osserva Günther Anders, alla base di chi parla e di chi ascolta non c’è, come
un tempo, una diversa esperienza del mondo, perché sempre più identico è il
mondo a tutti fornito dai media, così come sempre più identiche sono le parole
messe a disposizione per descriverlo. Il risultato è una sorta di comunicazione
tautologica, dove chi ascolta finisce con l’ascoltare le identiche cose che
egli stesso potrebbe tranquillamente dire, e chi parla dice le stesse cose che
potrebbe ascoltare da chiunque. In questo senso è possibile dire che la
diffusione dei mezzi di comunicazione, che la tecnologia ha reso esponenziale,
tende ad abolire la necessità della comunicazione. Con il loro rincorrersi,
infatti, le mille voci che riempono l’etere eliminano progressivamente le
differenze che ancora sussistono fra gli uomini e, perfezionando la loro
omologazione, rendono superfluo, se non impossibile, parlare in prima persona.
..Di tutt’altro
avviso è Nicholas Negroponte, uno dei maggiori esperti mondiali di
comunicazione digitale, secondo il quale:
Aumentando le
interconnessioni tra gli individui, molti dei valori tradizionali propri dello
Stato-nazione lasceranno il passo a quelli di comunità elettroniche, grandi o
piccole che siano. Socializzeremo in un vicinato digitale dove lo spazio fisico
sarà irrilevante e il tempo giocherà un ruolo differente. Fra vent’anni,
guardando fuori dalla finestra, potrete vedere qualcosa distante da voi
cinquemila miglia e sei fusi orari. Un’ora di televisione può essere stata
mandata a casa vostra in meno di un secondo. Un reportage sulla Patagonia potrà
darvi la sensazione di andarci di persona. Un libro scritto da William Buckley
potrà essere una conversazione con lui.
…La radio, la
televisione, il computer, il cellulare ci plasmano qualunque sia lo scopo per
cui li impieghiamo, perché una trasmissione televisiva edificante e una
degradante, per diversi che siano gli scopi a cui tendono, hanno in comune,
come osserva Anders, “il fatto che noi non
vi prendiamo parte, ma ne consumiamo soltanto la sua immagine”. Il “mezzo”, indipendentemente dallo “scopo”, ci
istituisce come spettatori e non come partecipi di un’esperienza o attori di un
evento.
Questa condizione,
che vale per la televisione, vale in maniera esponenziale per internet, dove il
consumo in comune del mezzo non
equivale a una reale esperienza comune.
Ciò che in internet si scambia, quando non è una somma spropositata di
informazioni, è pur sempre una realtà personale
che non diventa mai una realtà condivisa.
Lo scambio ha un andamento solipsistico dove, come vuole la metafora di Anders,
un numero infinito di “eremiti di massa” comunicano le vedute del mondo quale
appare dal loro eremo, separati l’uno dall’altro, chiusi nel loro guscio come i
monaci di un tempo sui picchi delle alture, “non già per rinunciare al mondo,
bensì per non perdere, per l’amor del cielo, nemmeno una briciola del mondo in effigie”.
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