mercoledì 9 novembre 2011

Umberto Galimberti: I miti del nostro tempo / 10


Il mito delle nuove tecnologie

1. Il monologo collettivo e l’effetto omologazione

Il sospetto è che la sempre più massiccia diffusione dei mezzi di comunicazione, potenziati dalle nuove tecnologie, abolisca progressivamente il bisogno di comunicare, perché nonostante l’enorme quantità di voci diffuse dai media, o forse proprio per questo, la nostra società parla nel suo insieme solo con se stessa.
Infatti, come osserva Günther Anders, alla base di chi parla e di chi ascolta non c’è, come un tempo, una diversa esperienza del mondo, perché sempre più identico è il mondo a tutti fornito dai media, così come sempre più identiche sono le parole messe a disposizione per descriverlo. Il risultato è una sorta di comunicazione tautologica, dove chi ascolta finisce con l’ascoltare le identiche cose che egli stesso potrebbe tranquillamente dire, e chi parla dice le stesse cose che potrebbe ascoltare da chiunque. In questo senso è possibile dire che la diffusione dei mezzi di comunicazione, che la tecnologia ha reso esponenziale, tende ad abolire la necessità della comunicazione. Con il loro rincorrersi, infatti, le mille voci che riempono l’etere eliminano progressivamente le differenze che ancora sussistono fra gli uomini e, perfezionando la loro omologazione, rendono superfluo, se non impossibile, parlare in prima persona.

..Di tutt’altro avviso è Nicholas Negroponte, uno dei maggiori esperti mondiali di comunicazione digitale, secondo il quale:
 
Aumentando le interconnessioni tra gli individui, molti dei valori tradizionali propri dello Stato-nazione lasceranno il passo a quelli di comunità elettroniche, grandi o piccole che siano. Socializzeremo in un vicinato digitale dove lo spazio fisico sarà irrilevante e il tempo giocherà un ruolo differente. Fra vent’anni, guardando fuori dalla finestra, potrete vedere qualcosa distante da voi cinquemila miglia e sei fusi orari. Un’ora di televisione può essere stata mandata a casa vostra in meno di un secondo. Un reportage sulla Patagonia potrà darvi la sensazione di andarci di persona. Un libro scritto da William Buckley potrà essere una conversazione con lui.

…La radio, la televisione, il computer, il cellulare ci plasmano qualunque sia lo scopo per cui li impieghiamo, perché una trasmissione televisiva edificante e una degradante, per diversi che siano gli scopi a cui tendono, hanno in comune, come osserva Anders, “il fatto che noi non vi prendiamo parte, ma ne consumiamo soltanto la sua immagine”. Il “mezzo”, indipendentemente dallo “scopo”, ci istituisce come spettatori e non come partecipi di un’esperienza o attori di un evento.
Questa condizione, che vale per la televisione, vale in maniera esponenziale per internet, dove il consumo in comune del mezzo non equivale a una reale esperienza comune. Ciò che in internet si scambia, quando non è una somma spropositata di informazioni, è pur sempre una realtà personale che non diventa mai una realtà condivisa. Lo scambio ha un andamento solipsistico dove, come vuole la metafora di Anders, un numero infinito di “eremiti di massa” comunicano le vedute del mondo quale appare dal loro eremo, separati l’uno dall’altro, chiusi nel loro guscio come i monaci di un tempo sui picchi delle alture, “non già per rinunciare al mondo, bensì per non perdere, per l’amor del cielo, nemmeno una briciola del mondo in effigie”.

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