La scuola dell’obbligo non può bocciare
Cara signora,
lei di me non
ricorderà nemmeno il nome.
Ne ha bocciati
tanti.
Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi,
a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che «respingete».
Ci respingete nei
campi e nelle fabbriche e ci dimenticate.
Due anni fa, in
prima magistrale, lei mi intimidiva.
Del resto la timidezza ha accompagnato tutta la mia
vita. Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non
essere visto.
Sul principio pensavo che fosse una malattia mia o al
massimo della mia famiglia. La mamma è di quelle che si intimidiscono davanti a
un modulo di telegramma. Il babbo osserva e ascolta, ma non parla.
Più tardi ho creduto che la timidezza fosse il male
dei montanari. I contadini del piano mi parevano sicuri di sé. Gli operai poi
non se ne parla.
Ora ho visto che gli operai lasciano ai figli di papà
tutti i posti di responsabilità nei partiti e tutti i seggi in parlamento.
Dunque sono come noi. E la timidezza dei poveri è un
mistero più antico. Non glielo so spiegare io che ci sono dentro. Forse non è
né viltà né eroismo. E’ solo mancanza di prepotenza.
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