Il potere senz’anima dei manager
La categoria
dell’utilitarismo, rigorosamente regolamentato dalla ragione strumentale che sa
solo far di conto e non oltrepassa quell’ambito ristretto che prevede il
massimo conseguimento degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi è, a parere di
Pier Luigi Celli, il limite culturale
dei manager italiani, pronti a fare del bilancio una religione, ma spesso incapaci di comprendere la realtà
che li circonda, perché assumono come massimo orizzonte di riferimento
l’efficienza e la specializzazione e, a partire da questo scenario così
angusto, pretendono di proclamare che “ciò che è bene per l’azienda è bene per
il paese”.
Questa persuasione
non è solo degli uomini d’azienda, ma anche dei politici che, a partire dal basso livello a cui hanno ridotto la
loro funzione, non esitano a parlare ad esempio dell’”azienda Italia”, e in
subordine di “azienda sanitaria”, “azienda scolastica”, non rendendosi
minimamente conto che dire “azienda” significa risolvere l’agire politico nel fare
tecnico, e ridurre l’arte di governare i conflitti, che nelle società
complesse si fanno sempre più sofisticati e troppo sottili per sguardi opachi,
all’uso dei due soli strumenti di cui il “fare tecnico” dispone: l’efficienza e la competenza specialistica.
In questo
convergere del mondo aziendale e del mondo politico nell’orizzonte ristretto
del fare tecnico, nasce in ambito
aziendale l’illusione di poter affrontare la crisi della dinamica produttiva
prescindendo dalla complessità e dalla presa di coscienza delle continue e
decisive trasformazioni del mondo, e in ambito politico l’illusione di poter
semplificare la complessità del mondo aziendale. Con questa povertà di
strumenti concettuali, del tutto insufficienti a interpretare le nuove complessità,
abbiamo ad esempio costruito l’Europa con l’atteggiamento dei contabili
d’azienda che leggono il mondo a partire dai registri dei loro conti.
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