mercoledì 9 novembre 2011

Umberto Galimberti: I miti del nostro tempo / 6


Il potere senz’anima dei manager

La categoria dell’utilitarismo, rigorosamente regolamentato dalla ragione strumentale che sa solo far di conto e non oltrepassa quell’ambito ristretto che prevede il massimo conseguimento degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi è, a parere di Pier Luigi Celli, il limite culturale dei manager italiani, pronti a fare del bilancio una religione, ma spesso incapaci di comprendere la realtà che li circonda, perché assumono come massimo orizzonte di riferimento l’efficienza e la specializzazione e, a partire da questo scenario così angusto, pretendono di proclamare che “ciò che è bene per l’azienda è bene per il paese”.
Questa persuasione non è solo degli uomini d’azienda, ma anche dei politici che, a partire dal basso livello a cui hanno ridotto la loro funzione, non esitano a parlare ad esempio dell’”azienda Italia”, e in subordine di “azienda sanitaria”, “azienda scolastica”, non rendendosi minimamente conto che dire “azienda” significa risolvere l’agire politico nel fare tecnico, e ridurre l’arte di governare i conflitti, che nelle società complesse si fanno sempre più sofisticati e troppo sottili per sguardi opachi, all’uso dei due soli strumenti di cui il “fare tecnico” dispone: l’efficienza e la competenza specialistica.
In questo convergere del mondo aziendale e del mondo politico nell’orizzonte ristretto del fare tecnico, nasce in ambito aziendale l’illusione di poter affrontare la crisi della dinamica produttiva prescindendo dalla complessità e dalla presa di coscienza delle continue e decisive trasformazioni del mondo, e in ambito politico l’illusione di poter semplificare la complessità del mondo aziendale. Con questa povertà di strumenti concettuali, del tutto insufficienti a interpretare le nuove complessità, abbiamo ad esempio costruito l’Europa con l’atteggiamento dei contabili d’azienda che leggono il mondo a partire dai registri dei loro conti.

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