...il termine
“omosessualità” non esisteva nella Grecia antica e neppure nell’antica Roma,
nonostante altri termini per atti e preferenze sessuali molto meno marcati e
distintivi della dicotomia, così ovvia per l’età moderna, tra omosessuale ed
eterosessuale abbiano origini greco-latine, come: pedofilia, incesto,
feticismo, fellatio, cunnilinguus e via dicendo.
Nell’antichità
l’omosessualità non era un problema, perché l’attenzione non era rivolta
all’atto sessuale, ma all’amore tra persone (charízesthai erastaîs) che poteva
trascendere il sesso, perché capace di includere dimensioni culturali,
spirituali ed estetiche. Questa era la ragione per cui il legislatore attico
Solone considerava l’erotismo omosessuale troppo elevato per gli schiavi, ai
quali, per questo, andava proibito.
Lo stesso motivo
ritorna nella letteratura islamica sufi dove la relazione omosessuale è assunta
come metafora della relazione spirituale tra uomo e Dio. Di estetica, cultura,
spiritualità, coraggio e forza gronda l’erotismo di Achille con Patroclo, di
Socrate con Alcibiade, e a Roma di Adriano con Antinoo, a cui, dopo la morte
dell’amato, l’imperatore dedica un oracolo a Mantinea, decreta giochi ad Atene,
Eleusi e Argo che continuarono a essere celebrati per più di duecento anni dopo
la sua morte.
Tutto ciò era
possibile nel mondo antico perché ciò che si celebrava nell’erotismo omosessuale
era l’amore che non escludeva il sesso, ma non si concentrava sul sesso e non
elevava il sesso a sintomo. Come ci informa John Boswell, questa tendenza non
fu interrotta nell’alto Medioevo, per cui imputare al cristianesimo la condanna
dell’omosessualità non è del tutto corretto. Un manuale per i confessori del
VII secolo assegnava un anno di penitenza ad atti impuri tra maschi,
centosessanta giorni tra donne, e ben tre anni a un prete che fosse andato a
caccia.
Le gerarchie
ecclesiastiche fino al Concilio del 1179 non consideravano l’omosessualità un
problema che meritasse una discussione.
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