da:
il Sole 24 ore
Mediaset spera in una tregua: l’impero tv «osservato
speciale»
Lo scenario: Gli investitori hanno ridotto
l’esposizione verso i titoli delle aziende del Cavaliere, giudicate ora più
vulnerabili e senza rete di protezione.
di Simone Filippetti
Fari puntati sul
titolo Mediaset. Che succede ora che il fondatore e principale azionista non è più
il presidente del consiglio? Oggi (ndb:
lunedì), alla riapertura dei mercati dopo un fine settimana cruciale per il
futuro del paese e le sorti politiche del governo Berlusconi, c’è da
scommettere che gli occhi di trader e borsini saranno tutti puntati sulla
galassia Fininvest e le sue tre aziende quotate: Mediaset, Mondadori più
Mediolanum. Ma la vera «proxy» del Cavaliere in Borsa è Mediaset: Mondadori si
muove sempre abbastanza slegato dalle vicende di Berlusconi, mentre Mediolanum
è da sempre più defilata visto che Fininvest detiene solo il 35 per cento.
Piaccia o no, vero
o falso, negli ultimi quindici anni Mediaset è stata legata all’inquilino di
Palazzo Chigi. La sovrapposizione di ruoli, tra premier e imprenditore
proprietario di un grande gruppo tv, il mercato l’ha sempre scontata.
Esiste solo un
«Premier Discount» o si guarda alle prospettive del business? La tv generalista
è assediata dall’alto delle pay-tv e da internet dal basso. Se anche, appena
tre giorni fa, il colosso franceseTF1, che pure non è legata in alcun modo a
Nicholas Sarkozy (volendo fare un paragone politico), è caduto del 15% in Borsa
dopo risultati negativi e una revisione delle prospettive future, vuol dire che
c’è problema serio nell’industria televisiva. Il mercato è in deterioramento,
tra audience in calo e pubblicità stagnante: le grandi aziende, che sono i big
spender nel mondo della comunicazione, di fronte a una possibile recessione,
non investono in pubblicità. E’ vero che da anni gli analisti parlano di
«secular decline» per Mediaset, di declino di lunga durata, per la tv gratuita
generalista; ed è altrettanto vero che finora sono stati smentiti. Però dopo il
boom del 2005, anno record quando gli utili superarono quota 600 milioni, Mediaset ha visto gli utili imboccare una
parabola discendente: il 2011, con il titolo crollato sotto l’euro ai
minimi storici, si stima possa chiudersi con profitti in calo a 327 milioni
dopo un «allarme utili» lanciato la scorsa estate. I primi nove mesi lasciano
presagire che il 2011 sarà un anno nero: l’unica voce che tiene in bilancio
sono i ricavi, peraltro fermi (-0,17%), a quota 3 miliardi. Il resto è tutto in
calo: l’utile netto è sceso a 167 milioni (-13%); flessione anche per gli utili
ante imposte, a 334,7 milioni, e per il risultato operativo, a 368,2 milioni a
fronte dei 534,7 milioni del 2010. Peggiora
anche l’indebitamento del gruppo
salito a 1,8 miliardi dai 1,6 miliardi.
Il prossimo anno,
prevede il mercato, potrebbe essere anche peggio perché la raccolta
pubblicitaria non si riprenderà ma dovrebbe scendere ancora di circa il 2% e
gli utili finire sotto i 280 milioni (non lontano dai 272 milioni del 2009, il
minimo storico degli ultimi anni). Di fronte a uno scenario di questo tipo, diversificare i ricavi per non dipendere
solo dalla pubblicità diventa necessario per Mediaset. Ma anche le
diversificazioni danno problemi: Endemol
è a rischio di finire in mano ai
creditori, sulla scia di 2,8
miliardi di debiti. Pure Mediaset
Premium, la pay-tv lanciata di recente, fatica. Gli analisti finanziari sono abituati a guardare i numeri.
Ma se Mediaset è il titolo di Borsa
Italiana che ha perso di più tra gli industriali, dimezzando il proprio valore (-50%) con una caduta pari sola quelle
delle banche, il motivo è anche politico. Non c’è solo un problema di business,
ma su quel -50% pesa anche una componente politica. Quella che oggi detterà
l’andamento di Mediaset.
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