lunedì 12 gennaio 2015

The Good Wife: come arrivare alla sesta stagione senza perdere smalto…


Quante sono le serie televisive che riescono a non perdere senso, smalto, credibilità alla sesta stagione?
Più uniche che rare. The Good Wife è tra queste.

Ci sono innumerevoli serie americane. Di un numero non esiguo se ne potrebbe fare a meno. Sono i limiti dell’industria. Vale per il cinema, vale per la tv. Quando sforni parecchi prodotti, una parte di questi non spicca per qualità ma viene comunque venduta. Però, anche evitando di confrontare prodotti americani e italiani senza tener conto della diversità dei linguaggi e delle specifiche realtà, la qualità si trova più facilmente e numerosamente nelle serie d’oltre oceano che in quelle di casa nostra. Lo pensavo e lo ripenso dopo aver visto come si riduce una delle poche serie italiane degne di nota: Squadra Antimafia.
La sesta stagione ha mostrato alcune ridicolaggini, cadute di sceneggiatura e di regia, ed è ostaggio del meccanismo tipicamente italiano per il quale non si ha il coraggio di virare da certi meccanismi, non si vuole far scoppiare certe coppie o…non si sa come accoppiarle senza snaturare, cioè senza far scadere di livello un racconto che per qualche stagione ha funzionato.

Tornando al meglio della serialità americana, cioè The Good Wife, per quanto i King abbiano una certa capacità nello sviluppare il legal drama, i primi tre episodi non mi avevano particolarmente coinvolta. Ma poi è arrivato ‘Oppo Research’, e da questo quarto episodio la sesta stagione ha spiccato il volo.  



Per me un legal drama dev’essere concentrato e incentrato sui casi legali. Eppure, la sesta stagione ha deviato dal racconto principale e non per dare
spazio a ciò che per i King non è mai stato il massimo dell’ispirazione: le relazioni private, eccezion fatta, va riconosciuto, per alcuni tratti emotivi descritti e rappresentati con realismo e credibilità. La sesta stagione è incentrata e concentrata sulle disgrazie di Cary dovute, sì, alla sua attività, ma la trama portante è il suo stato d’animo, il modo di agire e reagire, non l’intreccio giudiziario in sé. Quindi, non è il caso legale in sé che predomina, ma lo spessore dell’uomo Cary – in positivo o in negativo – che prevale.

L’altro asse portante della sesta stagione è la candidatura di Alicia alla carica di procuratore di Stato. Il triangolo Alicia-Eli-Johnny Elfman è perfetto. 
Alcuni dei meccanismi che nelle stagioni precedenti si svolgevano nella sala riunioni della Lockhart & Gardner sono stati trasferiti in questo piano operativo per la candidatura di Alicia. Che perde un po’ del suo “good wife”, come sempre succede per chi deve affrontare le logiche della politica, ma che mantiene una sua sostanziale (seppure sofferta) coerenza e correttezza, cioè la sua veste di “good woman”, quando dichiara di non voler essere come Peter, quando si accorda con il suo rivale affinché il duello sia il meno cruento possibile. Quando non vuole sembrare ciò non è, ad esempio, nel suo rapporto con la fede. Quando, in un’intervista, non usa la morte di Will per creare un impatto emotivo che avrebbe effetto benefico sui sondaggi.

Devo dire che di queste due linee di racconto, è l’Alicia che “concorre” a diventare procuratore che m’intriga maggiormente. Perché in questa campagna elettorale ci sono tutti i meccanismi, le contraddizioni, le ambiguità ma anche la forza, l’emotività, la capacità strategica di Alicia. Che sia in un’aula di tribunale, che sia al tavolo di casa sua con lo spin doctor Eli e il manager della sua campagna elettorale Johnny Elfman.

Significativo, in questa sesta stagione, è che Will vive in parte in Cary e in parte in Finn Polmar. Cary Agos si trova nei guai. Maggiori di quelli passati da Will, ma ne ha ereditato alcune vicissitudini. Finn Polmar è l’amico Will che può tramutarsi in altro. Sintomatico che in un “tu per tu” su un divano, Alicia sia scattata via all’improvviso. Stessa fuga, seppure meno traumatica, Alicia la fece dopo aver baciato Will.
In questo momento, Alicia non si permette (tanto per non cambiare..) di lasciarsi andare con Finn. La sua campagna politica non lo permette. E lei non è Peter.

E poi c’è quel Johnny Elfman, l’intrigante Steven Pasquale, che i diabolici King potrebbero usare per far ballare quell’inizio di rapporto intimo, in senso emotivo, che si sta creando tra Alicia e Finn.
Con vero piacere, assisto in questa sesta stagione – e che i King non mi facciano brutti scherzi – alla fine reale del matrimonio tra Alicia e Peter. Trovo la coppia inguardabile. Sono esteticamente asincroni.
Non ho preferenze invece tra Finn Polmar e Johnny Elfman e…sia chiaro: il bacio che Alicia dà a Johnny al termine dell’undicesimo episodio non significa nulla. Dopo aver appreso che Cary era fuori dal casino giudiziario che la preoccupava come amica e come aspirante procuratore di Stato, l’esplosione liberatoria era inevitabile. Il bacio ne era un suggello. Avrebbe baciato chiunque. Anche Eli. Persino Peter….
Dopo di che….i King amano divertirsi alle spalle degli spettatori di The Good Wife. Se hanno la sensazione che parte del pubblico tifa Alicia-Finn potrebbero avvicinare fisicamente più che emotivamente la nostra good wife a Johnny. Se invece la coppia prediletta fosse Alicia-Johnny, svilupperanno la relazione emotiva con Finn. Il che non significa che Alicia finisca per avere una relazione con uno dei due. I King non fanno mai ciò che ti sembra stiano per fare. Altra dimostrazione dell’abisso autoriale tra certi sceneggiatori americani e italiani….


I King hanno azzardato in questa stagione spostando Alicia dai meccanismi legali a quelli politici. L’uscita di Josh Charles-Will li ha costretti a rafforzare alcuni personaggi (Cary e Kalinda) e a creare nuovi sviluppi.
Ma poiché la classe non è acqua e i vincoli di ascolto, ancor più condizionanti dell’auditel italiano, non costringono a modificare geneticamente una serie in una soap da chiudere dopo tre puntate, la sesta stagione mantiene il livello delle precedenti e The Good Wife si conferma come una delle migliori serie televisive americane. Certo. Neppure la sesta stagione è perfetta. Come in altre serie tv americane, alcuni momenti rischiano di diventare spot per l’alcolismo. Proprio in uno dei migliori episodi: Oppo Research, il bicchiere di vino rosso è parte del cast. Diventa un co-protagonista. Non era questa l’intenzione degli sceneggiatori? Qualunche fosse, è noto che certe immagini sono messaggi subliminali. Meglio evitarle.

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