da: Corriere della Sera
Un’atrocità
senza limiti. Il kamikaze è una bambina
Orrore
in Nigeria: una bambina usata come arma a sua insaputa
di Isabella
Bossi Fedrigotti
Nella tormentatissima Nigeria si è fatta
saltare - nuova efferata prodezza organizzata da Boko Haram - una bambina di
non più di dieci anni, al mercato della città di Maiduguri, già preso di mira
in novembre da due giovani donne kamikaze. Ha compiuto un massacro, la piccola
martire, dilaniando a morte diciannove persone e ferendone altrettante in modo
grave; invano i vigilantes l’avevano fermata all’ingresso, messi in allarme dal
metal detector: prima che riuscissero a neutralizzarlo, l’ordigno è esploso.
Oppure l’hanno fatta saltare con un telecomando a distanza come si fa con
un’automobile carica di esplosivo? Entrambe le ipotesi ci lasciano senza fiato,
incapaci di comprendere: al punto che la comune umanità in nome della quale,
almeno per quanto riguarda gli istinti primordiali, tendiamo a riconoscerci
tutti quanti, tra loro e noi ci sembra venire meno. Non perché -
malauguratamente - possiamo definirci meno esperti in atrocità, bensì perché
sono perseguite, queste atrocità, studiate, portate a termine e poi anche
esaltate nel nome di una religione.
Se l’hanno convinta, se l’hanno indottrinata, la ragazzina, magari scelta nel degrado di un’esistenza di fame, di solitudine e abbandono, e perciò comprensibilmente arrendevole al richiamo, quale paradiso le hanno mai potuto promettere, quei perfidi maestri, per indurla ad andare al mercato con la cintura esplosiva indosso? Visto che per lei le settantadue vergini dagli occhi neri destinate ai martiri maschi non hanno senso, che altro premio le è stato fatto balenare? A lla piccola gli assassini hanno promesso casa, cibo, benessere, affetto, vestiti, giocattoli, su misura di un meraviglioso eden femminile, anzi, infantile? Sangue su sangue, fiumi di sangue - il suo che si mescola con quello delle sue vittime - per ottenere il premio eterno?
Povera bambina, povera infelice piccola donna incappata nelle grinfie di esseri senza pietà. Ancora peggiore risulta l’orrore se, come sembra più probabile, l’hanno fatta saltare da lontano, con un telecomando, bomba viva e ambulante senza che lo sapesse, non bambina per chi l’ha mandata, non essere umano, ma soltanto un corpo utile perché in grado di spostarsi e portare morte. Senza destare sospetti: perché anche nel Paese dei massacri, anche nel mercato già preso di mira da kamikaze, da una ragazzina, con un piccolo sorriso, chissà, non ci si può, non ci si vuole aspettare il colpo che sbrana, che fa a pezzi. L’hanno comprata, forse, gli assassini, da genitori miserabili, con altri sei o sette figli da mantenere magari, oppure l’hanno trovata orfana, di peso a qualche parente ben contento di liberarsene in cambio di due soldi. O semplicemente bambina di nessuno, perduta, che docile segue l’orco travestito da buon amico, da padre, da fratello. Vai al mercato, ecco gli spiccioli, fai questa commissione per me, con il resto puoi anche comprarti qualcosa che ti piace. La cintura è per proteggerti. Vai piccola. Brava piccola.
Rammentando il curriculum dei criminali di
Boko Haram e il trattamento riservato alle duecento studentesse rapite e mai
tornate a casa, non si può non pensare al corpo della giovanissima kamikaze,
corpo senza valore - perché di donna? - sfruttato, usato, buttato via, piccolo
mucchio di carne barbaramente sacrificato a scopo malefico. Senza nome
oltretutto: vano cercare nelle notizie di agenzia traccia della sua identità.
Sappiamo come si chiama il capo dei vigilantes del mercato - Ashirù Mustafhà -
mentre di lei sappiamo solo che era bassina di statura, che dimostrava dieci
anni al massimo.
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