da: Il Fatto Quotidiano
Lo
Stato paga i debiti ma Chil di papà Renzi non aveva i requisiti
L’azienda
non comunicò il trasferimento di sede a Genova per non perdere la copertura di
Fidi Toscana
di Davide
Vecchi
Tiziano Renzi avrebbe dovuto comunicare il
trasferimento della sede della sua azienda, la Chil Post, da Firenze a Genova
alla finanziaria Fidi Toscana, come prevede lo statuto del fondo di garanzia da
cui ha ricevuto i fondi per coprire parte dei debiti contratti. Il cambio di
regione avrebbe ovviamente comportato la decadenza del beneficio. Per carità:
si sarà sicuramente trattato di una dimenticanza. Il dato emerge dagli atti
custoditi in Regione relativi all’azienda di casa Renzi, poi fallita e per cui
il padre del premier è indagato per bancarotta fraudolenta dalla procura
ligure. E non è l’unico elemento interessante.
Ricostruendo la vicenda emerge che la Chil
è una delle pochissime aziende per cui il ministero dell’Economia ha coperto il
fondo di garanzia toscano. Creato nel febbraio 2009 per volere dell’allora
governatore Claudio Martini e finalizzato ad aiutare le imprese regionali ad
affrontare la crisi economica, il fondo “emergenza economia misura liquidità”
in cinque anni ha sottoscritto garanzie
per un miliardo e 126 milioni di euro a
5.687 aziende toscane. E ne ha dovuto effettivamente elargire solamente 16
milioni di euro. Nulla, rispetto alla cifra complessiva garantita. Di questi 16
milioni lo Stato, attraverso il fondo centrale di garanzia costituito presso il
Mef, ha restituito a Fidi Toscana appena un milione di euro, tra cui proprio i
236.803,23 deliberati a giugno 2014. Ed è così che lo Stato guidato da Renzi ha
pagato parte del debito della società di casa Renzi.
A spiegare l’iter seguito dalla Chil Post è
Simonetta Baldi, dirigente della Regione responsabile del settore politiche
orizzontali a sostegno delle imprese, l’ufficio che gestisce il fondo di
garanzia e tiene i rapporti con Fidi Toscana, la finanziaria controllata per il
49% dall’ente guidato da Enrico Rossi. Baldi non svela nulla: si limita a
confermare le informazioni in nostro possesso. “Il fondo è stato creato nel
febbraio 2009 e la Chil è stata tra le prime a rivolgersi a noi appena un mese
dopo” ed è stata “anche tra le prime ad andare in sofferenza”, ricorda Baldi.
Di “5.687 aziende che sono ricorse a noi non sappiamo quante poi sono fallite
ma decisamente poche” anche perché “il fondo ha funzionato molto bene per la
quasi totalità delle imprese”. Su un miliardo e 200 milioni garantiti “siamo
intervenuti per appena 16 milioni, come sa”. Baldi conferma anche le cifre
ricevute dal ministero dell’Economia: “Sì, poco più di un milione di euro”. E
spiega che non è affatto scontato che il rimborso avvenga, “anzi”. Funziona
così: “Al ministero dell’Economia c’è il fondo centrale che serve come
contro-garanzia ma può essere attivato solo a determinate condizioni” e
comunque viene rimborsato “con tempi piuttosto lunghi, tra il pagamento che
effettuiamo noi per l’azienda e quello che riceviamo dal Mef c’è un gap di
anni”. Per la Chil Post “sono arrivati in sei mesi, sì. Ma è stata una delle
prime pratiche a essere aperta e ad andare in sofferenza”.
Secondo il regolamento, inoltre, la Chil
Post non avrebbe potuto beneficiare del fondo di garanzia perché nel frattempo
ha cambiato sede e proprietà. Baldi, ancora una volta, conferma: “C’è stato un
difetto di informazione, i passaggi di proprietà Fidi Toscana li ha saputi
successivamente”, dopo il fallimento. Va detto che la società non ha cambiato
partita Iva o forma, rimanendo una srl, ma “se ricevessi una domanda da
un’impresa di Genova gli dico di no, ovviamente”, garantisce Baldi. Quando la
Chil fece domanda era una società toscana, quindi al momento dell’ammissione
alla garanzia l’impresa aveva tutte le caratteristiche in regola.
E’ il 16 marzo 2009 quando Tiziano Renzi
presenta richiesta e il 13 agosto 2009 l’operazione va in porto a garanzia di
un mutuo con il credito cooperativo di Pontassieve da 496.717,65 euro. Dopo
poco più di un anno, l’otto ottobre 2010, circa due milioni in beni e servizi –
ritenuti dagli inquirenti genovesi la parte sana della Chil Post – sono ceduti
alla Eventi 6 di Laura Bovoli, madre dell’ex rottamatore. Passa meno di una
settimana e il 14 ottobre Tiziano Renzi trasferisce la società a Genova. Infine
il 3 novembre cede l’intera proprietà della Chil Post a Gian Franco Massone,
prestanome per il figlio Mariano, entrambi indagati con il padre del premier
dalla procura ligure. A questo punto però l’azienda è ormai priva
di beni ed è gravata da un passivo di un milione e 150 mila euro, compresi 496
mila euro di esposizione con il Credito cooperativo di Pontassieve guidato dal
fidatissimo amico del premier, Matteo Spanò. I debiti non vengono ripianati e
Massone dichiara il fallimento della Chil Post nel 2013. Il mutuo viene ammesso
al passivo dal tribunale e così Fidi Toscana onora la sua garanzia. Poi coperta
dal Tesoro.
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