da: Il Fatto Quotidiano
Il
testo non è stato pubblicato sul sito dell’esecutivo. Delrio e il premier
dicono che c’è stata discussione, ma il decreto è piovuto dall’alto già pronto.
A quasi due settimane dal Consiglio dei
ministri del 24 dicembre, il governo continua ad aggrovigliarsi in versioni
contrastanti: come è possibile che una norma
uscita dalla commissione di esperti del Tesoro come stangata anti-evasione
sia diventata il più colossale regalo ai
professionisti della frode fiscale? Nessuna
sanzione penale a chi imbroglia di proposito il fisco per somme fino al 3 per
cento del fatturato, con il politicamente rilevante effetto collaterale di
neutralizzare (o almeno indebolire) gli effetti della legge Severino che
rendono incandidabile Silvio Berlusconi, condannato in Cassazione proprio per
frode fiscale.
Il testo
nascosto (per vergogna?).
La prima
bugia è già sul sito governo.it:
nel comunicato del Consiglio dei ministri del 24 dicembre si legge che “il
Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Economia e Finanze, Pietro
Carlo Padoan (sic, con refuso), ha approvato in via preliminare il decreto
legislativo sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente” e
che “il testo è pubblicato sul sito del
governo”. Due falsità in poche righe: il premier ha ribadito anche ieri che
il decreto nella sua versione finale è opera di Palazzo Chigi, non del
ministero del Tesoro. E il testo è scomparso dal sito del governo, dove è
rimasto finché il Fatto Quotidiano non ha denunciato la norma. Ora è introvabile.
Come se bastasse cancellare un decreto dal sito per farlo decadere. Dovrà
esserci un altro Consiglio per ritirarlo e poi emanarne una nuova versione.
Rivendicare
la manina presidenziale
“La manina è la mia”, ha detto ieri Matteo
Renzi ai parlamentari Pd, per chiudere le polemiche. In realtà dovrebbe
aprirle, perché la procedura usata dal premier è così irrituale da meritare da
sola una spiegazione. La commissione di
esperti del Tesoro guidata da Franco Gallo, ex presidente della Consulta, produce un testo di cui poi Renzi si
appropria. Lo riconsegna ai ministri
stravolto seguendo la corsia preferenziale dei documenti “fuori circuito”.
Che non passano cioè dal pre-consiglio dei ministri riservato agli sherpa
ministeriali. Non è neppure certo che la salva-Berlusconi sia stata elaborata
dal Dagl, il dipartimento degli affari legali guidato dalla super-renziana
Antonella Manzione. E allora chi ha materialmente scritto il testo? Renzi è forte di una laurea in giurisprudenza presa una
ventina di anni fa, non risulta abbia
competenze o velleità di tecnico della legislazione. Chi ha partorito una
modifica che, con una spericolata capriola giuridica, poteva salvare Berlusconi
da una condanna definitiva? Visto che il percorso della norma non è
tracciabile, resterà il sospetto che si sia verificato quanto accade spesso
nelle notti frenetiche delle commissioni parlamentari: che i beneficiari della
norma se la scrivono da soli passandola poi a deputati amici
compiacenti.
Gli
equilibrismi di Delrio, smentito anche dal capo
Cercando di fare da scudo al governo, Renzi ha sbugiardato la versione che da
giorni stava raccontando il suo sottosegretario
Graziano Delrio, che gestisce le riunioni del Consiglio dei ministri. “I
testi che escono dal Cdm sono collegiali: entrano in una maniera, ne escono
trasformati, altrimenti non ci sarebbe bisogno di fare i consigli dei ministri.
Talmente ovvio che è perfino difficile da spiegare, non c’è nessuna manina come ha detto in maniera chiara il ministro
Padoan”, ripeteva ancora ieri mattina l’ex
sindaco di Reggio Emilia. Una versione
che serve a tenere compatto il governo, ma palesemente falsa. Il testo del decreto
è entrato in Consiglio dei ministri con
già la misura salva-evasori e lì, nella riunione, non è stato discusso,
come confermano diversi ministri che però non vogliono esporsi pubblicamente.
Il decreto ha saltato tutti i passaggi
in cui avvengono le “decisioni collegiali” ed è atterrato sui tavoli dei
ministri come opera diretta del capo del governo. Comprensibile, quindi, che
nessuno abbia avuto una gran voglia di contestarlo.
Il
legame col Quirinale e il patto del Nazareno
“Noi cambiamo il fisco per gli italiani,
non per Berlusconi. Senza fare sconti a nessuno, nemmeno a Berlusconi, che
sconterà la sua pena fino all’ultimo giorno”, ha detto due giorni fa Renzi. Ma
il decreto non incideva sulla “pena” di Berlusconi (i servizi sociali
che scadono il 15 febbraio), bensì sulle
conseguenze non penali previste dalla legge Severino (l’incandidabilità). E
il legame con Berlusconi e la partita del Colle lo conferma lo stesso premier:
“Per evitare polemiche – sia per il Quirinale, che per le riforme – ho pensato
più opportuno togliere di mezzo ogni discussione e inserire anche questo
decreto nel pacchetto riforme fiscali del 20 febbraio”. Una scelta tutta
politica: se il punto era modificare il decreto, bastava mandarlo alle
commissioni competenti in Parlamento, recepire le loro valutazioni non
vincolanti e adeguarlo. Invece Renzi lascia intravedere a Berlusconi la
salvezza politica e poi gli promette che del tema si discuterà dopo l’elezione
del capo dello Stato. Durante la quale Forza Italia è decisiva per il progetto
renziano di eleggere un presidente al primo scrutinio con la maggioranza dei
due terzi.
Nessun commento:
Posta un commento