da: La Stampa
di Roberto
Giovannini
1.
Cosa prevede l’intesa Renzi-minoranza sul Jobs Act?
Premettiamo che per adesso ancora non c’è
alcun testo di uno o più emendamenti che dovrebbero modificare la
(stringatissima) delega legislativa. Dalle dichiarazioni dei protagonisti
sappiamo che le modifiche inseriranno i contenuti dell’ordine del giorno
approvato il 29 settembre dalla Direzione del Pd. Si parla però anche di
modifiche non contenute nell’Odg, come sul controllo a distanza, che riguarderà
non i lavoratori ma gli impianti. Per saperne di più dovremo aspettare.
2.
Ma si tratta di cambiamenti radicali? Sparisce la libertà di licenziamento
promessa dal premier?
Assolutamente no, è la risposta alle due
domande. I cambiamenti di maggiore impatto riguardano una più drastica
sforbiciatura delle forme di lavoro atipico e precario, e l’aumento delle
risorse per i loro ammortizzatori sociali. La prima misura è facilmente
attuabile, per la seconda bisognerà trovare le risorse.
3.
La prima novità è dunque sugli ammortizzatori sociali. Cosa cambia?
Nell’Odg si parla di «una rete più estesa»
di tutele, sia per i precari che per i disoccupati. In teoria, servirebbero
risorse aggiuntive rispetto a quelle inserite nella Legge di Stabilità.
4.
E per i contratti atipici?
La delega lascia intendere che l’unica
fattispecie che salterà sarà quella del co.co.pro. Il Pd aveva invece
ipotizzato una più ampia «riduzione delle forme contrattuali».
5.
Passiamo ai licenziamenti per il contratto «a tutele crescenti». Torna la
reintegra prevista dall’art.18?
Assolutamente no. Un lavoratore di
un’azienda con più di 15 dipendenti licenziato prenderà un’indennità economica
dal suo datore di lavoro, non oggetto di trattativa. Quanto, lo diranno i
decreti delegati. La reintegra - obbligata per i licenziamenti «discriminatori»
- potrebbe tornare solo per i licenziamenti disciplinari ingiustificati.
6.
Cos’è un licenziamento discriminatorio?
Nessun imprenditore dirà mai che licenzia
per le idee politiche o l’orientamento sessuale del dipendente, cosa proibita
da legge e Costituzione, ma lo definirà «economico». Non è chiaro se spetta al
lavoratore o meno dimostrare il contrario. In ogni caso maternità, malattia, credo religioso
e affini non possono essere causa di licenziamento.
7.
E che accade con i licenziamenti disciplinari?
Sulla base delle anticipazioni dell’accordo
Renzi-minoranza, qui ci sarà una novità, e sarà consentito - per alcune
fattispecie, però, non per tutti i casi di licenziamento disciplinare - al
giudice di stabilire che il lavoratore possa riavere il suo posto, qualora il
licenziamento risulti ingiustificato o sproporzionato alla mancanza commessa.
Quando un’azienda licenzia qualcuno con un’accusa disciplinare, oggi con le
regole della riforma Fornero, non sempre è un giudice a dire se l’accusa era
fondata o meno, e se la sanzione è proporzionata. In alcuni casi prevalgono
infatti le regole stabilite nei contratti collettivi. Con il Jobs Act, intanto,
la prima novità sarà che un giudice interverrà sempre, e di norma concederà
solo un’indennità economica nei casi non giustificati. Con le novità concordate
ieri nel Pd - ma che non sono gradite al Nuovo Centrodestra - per alcune
tipologie di situazioni il giudice potrà prevedere anche il recupero del posto
di lavoro.
8.
Dunque, torna surrettiziamente la «reintegra»?
No. Secondo il governo non c’è nessun
ritorno mascherato dell’articolo 18, perché i licenziamenti disciplinari -
peraltro relativamente pochi - saranno definiti in modo chiaro.
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