Vivono,
ma dovrebbero essere morti
Ti faccio un piccolo elenco dei tipi di
tuoi coetanei che ti descriverò in questa sezione della nostra «Pedagogia»: è
un elenco incompleto (ma se sarà necessario, lo aggiorneremo in qualsiasi
momento ci sembri opportuno). Ti descriverò prima i ragazzi che si possono
approssimativamente chiamare «obbedienti» (il fatto che qualche volta si
atteggino a contestatori, ribelli, estremisti ecc..non ha alcuna importanza:
come non hanno importanza i loro capelli lunghi, cristallizzati ormai nelle
ridicole e un po’ schifose acconciature di un’iniziazione totalmente
conformista)
Poi ti descriverò i ragazzi che si possono
approssimativamente chiamare «disobbedienti», cioè i pochi veri estremisti
sopravvissuti, i disadattati, i devianti e infine – questi rarissimi – i «colti».
L’elenco dei tipi del primo gruppo, da cui
cominceremo, è pressappoco il seguente: i «destinati a esser morti», gli «sportivi»,
i «futuri excutives», i «comunisti ortodossi», i «repressi non nevrotici», i
«teppisti», i «fascisti», i «cattolici attivisti», e, infine, i «puri medi»: naturalmente,
terrò sempre
presenti, nel descriverli, le due varianti italiane ancora
fondamentali: i ragazzi borghesi e i ragazzi operai, i ragazzi del Nord e i
ragazzi del Sud.
Mi è molto difficile descriverti i primi tipi
del primo gruppo, cioè i «destinati a essere morti». Per te si tratta di una
categoria normale, che ha trovato, nascendo, già ben inserita nell’ordine
sociale, nel grande teatro dell’esistenza. Quindi non li hai «realizzati»,
ossia oggettivizzati, staccati da te, contemplati. Quanto a me, essi mi
appaiono invece come una categoria nuova, impensamente comparsa in Italia da
una dozzina d’anni: quindi l’ho realizzata, oggettivizzata ecc: mi è però
difficile descriverla appunto perché nessuno l’ha mai fatto, e io non ho dunque
precedenti linguistici o meglio terminologici.
Chi sono questi «destinati a essere morti»?
Sono coloro che fino appunto a una dozzina o a una ventina d’anni fa (in
Italia, e soprattutto nel Sud e tra le classi povere) sarebbero morti nella
primissima infanzia, in quel periodo che si chiama di «mortalità infantile». La
scienza è intervenuta (ma a proposito della «medicina» leggiti almeno le prime
pagine del La convivialità di Ivan Illich),
e li ha salvati dalla morte fisica. Essi sono dunque dei sopravvissuti, e nella
loro vita c’è qualcosa di artificiale, di «contro natura». Lo so bene che dico
delle cose terribili, e anche apparentemente un po’ reazionarie. Ma su questo
punto ti ho raccomandato più volte caldamente di non meravigliarti, e tantomeno
scandalizzarti (come faranno molti lettori delle nostre lezioni). Trovare
qualcosa di «artificiale» o di «contro natura» in coloro che da bambini sono
stati salvati dalla morte dalla tecnica medica, avrebbe qualcosa di atroce e di
reazionario in un mondo dove uno dei valori fondamentali fosse realmente la
conservazione della specie: e dove tale conservazione si concretasse, appunto,
in una prevalenza delle nascite sulle morti. Ma in un universo come il nostro,
in cui tale valore fondamentale si va rovesciando (bisogna evitare, perché
l’umanità si salvi, l’eccessivo prevalere delle nascite sulle morti), non hanno
più senso le gratificazioni morali di un tempo. Quindi non scandalizzarti: i
figli che nascono oggi non sono più aprioristicamente «benedetti». Il giudizio
tra benedizione e maledizione è sospeso. Sono però decisamente maledetti coloro
che nascono «in più».
Quali sono coloro che nascono «in più»? Non
si può evidentemente dirlo. Questo è certo: un bambino intuisce subito – solo
dopo pochi giorni di vita – se la sua venuta al mondo è veramente desiderata o
no. Se intuisce di non essere veramente desiderato, o, peggio, se intuisce di
essere indesiderato, si ammala.
Le nevrosi che causano le «regressioni» più
terribili e incurabili sono dovute proprio a questo sentimento primo, di non
essere accolti nel mondo con amore.
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