giovedì 6 novembre 2014

L’Italia è ancora un repubblica parlamentare?: Renzi, ventisei diktat in otto mesi



da: Il Fatto Quotidiano  

Ventisei diktat in otto mesi. Il governo ha la “fiducite”

Sono pochissimi i provvedimenti sui quali il governo non pone il dilemma al Parlamento “O votate sì o ce ne andiamo (tutti) a casa
di Luca De Carolis


E fanno 26. Una fiducia ogni dieci giorni, e passa la paura del flop (causa gufi). Ripudia l’etichetta di “uomo solo al comando”, rivendica di essere “uno che fa sul serio” nel sacro nome del cambiamento. Ma sui voti di fiducia Matteo Renzi è ormai il premier del (quasi) record. Avviato a migliorarsi, con buona pace della centralità del Parlamento, del confronto democratico e di altri principi molto costituzionali ma poco rottamatori. Ieri in una Camera distratta, quasi rassegnata al suo ruolo di mero notaio, il governo ha incassato la 26ª fiducia in otto mesi sul decreto legge per la riforma del processo civile (già passato in Senato). La 28ª, se si tiene conto anche delle prime due che hanno dato il via libera al governo Renzi. I sì sono stata una valanga, 353, a fronte di 192 no. E il premier ha migliorato il suo primato. Come ricordava il sito Openpolis, era dalla XIII legislatura (il quinquennio di centrosinistra 1996-2001) che un esecutivo non ricorreva così di frequente all’ultima risorsa, quella per evitare tonfi in aula.
Quasi l’80 per cento delle leggi approvate dal governo del rottamato-re hanno visto la luce così. Monti si era fermato al 45 per cento. Più sotto i vari governi Berlusconi. Perché Renzi tira più dritto di tutti. Lo conferma la media di decreti legge del governo, 2,5 al mese. E tanti saluti al 2,2 di Letta, all’1,5 di Monti e allo 0,7 del Caimano. Un po’ troppo anche per la presidente della Camera Laura Boldrini, che tre settimane fa aveva mandato al premier una letterina di protesta: “L’uso eccessivo dei decreti rischia di alterare il fisiologico funzionamento di Montecitorio”.
La risposta è stata classicamente renziana: “Il decreto legge rappresenta talvolta l’unico strumento di cui il governo dispone per intervenire su temi caratterizzati dai requisiti della necessità e dell’urgenza”. Traduzione: andiamo di fretta e non si rallenta. Ieri pomeriggio, a Montecitorio, è stata la perfetta chiusura del cerchio. Voto di fiducia su legge di conversione di un decreto (ma il sì definitivo al testo arriverà domani). Nel dettaglio, in 353 hanno detto sì al primo pacchetto di norme per la riforma della giustizia civile. L’obiettivo principale è snellire l’enorme arretrato (5 milioni di cause pendenti), permettendo alle parti di ricorrere agli arbitrati sia in primo grado sia in appello. Per le cause di separazione e di divorzio si potrà utilizzare la negoziazione assistita dagli avvocati. In determinati casi si potrà procedere davanti al sindaco. Se ne parla un po’ in aula. Semivuota, fino alle tre chiame per la votazione. Quando il forzista Chiarelli prende la parola intorno alle 15, nell’emiciclo saranno in trenta. In Transatlantico si aggirano deputati avvolti da noia. “Si va avanti con la fiducia” dice un anonimo bersaniano. Niente animosità nel tono, suo e di altri “rossi”. Tira aria di quieta rassegnazione. In aula la voce la alza Alfonso Bonafede (Cinque Stelle): “Abbiamo un Parlamento imbavagliato, i deputati sono come burattini, devono solo sfilare per dire sì”. Prende un foglio di carta, lo stropiccia: “Così Renzi tratta la Costituzione”. Accusa: “In Commissione Giustizia abbiamo avuto un giorno per studiare il provvedimento e presentare i nostri emendamenti”. Protesta anche il leghista Davide Caparini: “Quando il democratico Zanda vota come il forzista Verdini per 551 volte su 552, ma perché mettere la fiducia? ”. Daniele Farina (Sel): “Si incardina il testo lunedì, si chiudono gli elementi il martedì e si applica una doppia tagliola il mercoledì, e ora eccoci qui”.
A rispondere l’iper-renziano David Ermini: “In Commissione tutti hanno avuto tempo per parlare, erano state assegnate 5 ore per poter presentare emendamenti: probabilmente qualcuno, abituato ai sermoni di ore e ore del loro sacerdote, non era in grado di poter spiccicare parola su qualche emendamento”. A metà pomeriggio il testo passa: domani diventerà legge. I deputati sfilano via. In corridoio appare Pippo Civati: “Il voto di fiducia ormai è un atto quotidiano, religioso. Ci devi credere”. Ma i fedeli sembrano svogliati.

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