da: Corriere della Sera
Non c’è dubbio, tra i programmi che si
occupano di politica, «Gazebo» è il più innovativo. E’ vero che facendo satira
si hanno le mani più libere, ma ormai il confine tra i vari generi tende ad
assottigliarsi. «Gazebo» è alla terza stagione e ormai meccanismi sembrano ben
oliati: buona musica (con ospiti di livello), grafica esaltata dai disegni di
Marco Dambrosio in arte Makkox, Diego Bianchi in arte Zoro sempre più padrone
della scena (anche se il meglio di sé lo dà nei servizi esterni), puntuali gli «spiegoni»
di Marco Damilano (commento filologico sul concetto di fuducia con tanto di
citazione latina, in stile Antoine Compagnon, quello di Un’estate con Montaigne), l’inviato davanti a Palazzo Chigi, il
tassista Mirko-Missouri4, l’uso intelligente degli spezzoni tv, delle home page
dei giornali, dei social, dei finti hashtag (Raitre, domenica e lunedì, ore
23,15).
Ovviamente i momenti più divertenti sono
quelli che riguardano i commenti su Twitter e la #socialtopten: sembra di
tornare ai tempi in cui la Gialappa commentava frammenti delle tv locali. Solo
che qui i protagonisti sono quasi sempre uomini politici, persone cui abbiamo
affidato la guida del Paese: più stanno in alto, più il tonfo è clamoroso.
Fossi Alemanno o Castagnetti, per dire, non uscirei di casa per una settimana.
Lunedì sera non è mancata l’inchiesta di Zoro su un ghetto per extracomunitari
in Puglia, tra Foggia e San Severo: l’ennesima baraccopoli della disperazione.
A volte, la compagnia stabile tende un po’
a parlarsi addosso, a compiacersi della propria marginalità (sono su Raitre,
una storia di lotta e di governo nello stile del partito Fandango), a salire il
secondo gradino della «scala Arbasino» (il primo è «giovani promesse»), a
mandare in onda cose che alimentano solo l’euforia consensuale.
«Gazebo» è un programma scritto da Diego
Bianchi, Marco Dambrosio, Andrea Salerno e Antonio Sofi. Regia di Igor Skofic.
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