da: l’Espresso
Ecco
gli italiani col fisco su misura
Le
nostre grandi banche. E poi Pirelli, Ligresti. Il colosso Hines che ha cambiato
faccia a Milano. Persino Finmeccanica. Tutti in fila per chiedere
benefici
di Paolo
Biondani, Vittorio Malagutti e Leo Sisti
I grattacieli giganteschi che hanno
cambiato il panorama di Milano. I palazzi storici della Regione Sicilia. Gli
investimenti affidati dai risparmiatori italiani alle grandi banche. Gli affari
internazionali dell’industria statale delle armi. C’è un pezzo d’Italia nelle
28 mila pagine di documenti fiscali lussemburghesi scoperti dall’International
Consortium of Investigative Journalists e pubblicati da “l’Espresso” in
esclusiva nazionale.
Centinaia di pagine di documenti che
riguardano il nostro Paese. Sono i patti segreti con il fisco del Granducato.
Grazie a questi accordi, in gergo ruling, alcuni grandi investitori sono
riusciti a ridurre al minimo le imposte da pagare in Italia su importanti
operazioni. Affari miliardari tassati pochissimo grazie alla generosa
legislazione lussemburghese. Un nome su tutti: il colosso immobiliare Hines ,
che con i capitali raccolti in Lussemburgo ha ridisegnato, tra grattacieli,
giardini e nuove strade, una fetta importante del centro di Milano, tra i
quartieri Isola, Garibaldi, Porta Nuova e Varesine. Hines è guidata in Italia
da Manfredi Catella , a lungo finanziato da Salvatore Ligresti , poi uscito di
scena causa dissesto. Ma nelle carte esaminate da “l’Espresso”, insieme a banche
come Intesa San Paolo , Unicredit , Marche e Sella o aziende di Stato come Finmeccanica
, compaiono anche i fondi immobiliari targati Deutsche Bank, che insieme al
gruppo Pirelli di Marco Tronchetti Provera si sono messi in affari con la
Regione Sicilia dell’allora governatore Salvatore Cuffaro , poi condannato e
tuttora in carcere.I documenti che “l’Espresso” ha potuto consultare riguardano solo i ruling siglati con la consulenza di Pricewaterhouse Coopers (Pwc), la multinazionale della revisione di bilancio e della consulenza attivissima in Lussemburgo. Spesso gli accordi fanno riferimento a precedenti intese siglate con il fisco del Granducato. In questi casi risulta quindi più difficile fornire dati precisi sulle somme in gioco e i vantaggi concreti ottenuti dalle aziende. Le carte di Hines, per esempio, riguardano un ruling dell’agosto 2010, che richiama solo stralci di quattro intese precedenti, siglate a partire dal 2006. Ma il risultato finale resta chiaro: le holding lussemburghesi che tirano le fila del grande intervento edilizio a Milano hanno visto ridursi a pochi spiccioli le tasse sui loro profitti. A tutto vantaggio degli investitori, a cominciare dalla stessa Hines e dal gruppo Ligresti. Senza contare che le società del Granducato controllano fondi immobiliari di diritto italiano, gli stessi che hanno gestito il grande business dei nuovi quartieri nella metropoli lombarda. E anche i fondi immobiliari, nel nostro Paese, sono soggetti a un particolare regime fiscale molto favorevole ai sottoscrittori.
Al vertice della costruzione targata Hines
c’è un fondo americano collegato a una società anonima con base nel paradiso
fiscale del Delaware. Da qui si diramano tre strutture di holding e sub-holding
lussemburghesi, dove compaiono i soci italiani. La maggioranza è sotto il
controllo di Hines. Poi ci sono i Ligresti, tramite la holding Premafin o le
compagnie di assicurazioni Fonsai e Milano , che all’epoca del ruling (2010)
erano controllate dalla famiglia. Una quota minore (3,44 per cento) fa capo
alla Coima , la società di famiglia di Catella. Le tre strutture societarie
sono state finanziate (anche dai soci italiani, secondo il ruling) con speciali
strumenti, chiamati “bond ibridi”. Sono titoli con caratteristiche molto simili
alle obbligazioni, cioè debiti da rimborsare con gli interessi. La legge
lussemburghese permette però di considerare questi stessi bond come “equity”,
cioè capitale di rischio investito in azioni. Proprio questo è uno spiraglio in
cui si infilano gli investitori alla ricerca di sconti sulle tasse. Nel
documento protocollato il 25 agosto 2010, i consulenti di Pwc presentano al
Fisco del Granducato «le conclusioni raggiunte nel nostro incontro di oggi»:
l’obiettivo è considerare quei bond come azioni, quindi quote di capitale. In
questo modo gli strumenti ibridi finiscono sotto l’ombrello della cosiddetta
Pex (che sta per “participation exemption”): grazie a questo regime fiscale
diventano esenti da tassazione le plusvalenze realizzate con la vendita di
quote azionarie. Una forma di Pex è stata introdotta anche in Italia, nel 2004,
dall’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ma la versione del
Lussemburgo resta molto più vantaggiosa: nel Granducato è possibile sottrarre
dalle tasse l’eventuale deprezzamento della partecipazione, oltre alle
minusvalenze in caso di vendita. Due benefici che in Italia sono esclusi.
Hines Italia, interpellata da”l’Espresso”, dichiara di «occuparsi solo dei fondi italiani», per cui «non è coinvolta nelle questioni fiscali degli investitori esteri». Mentre Coima precisa di «non aver mai preso parte» ai ruling e comunque la sua «limitata partecipazione al fondo Isola»è «soggetta esclusivamente alla fiscalità italiana».
I consulenti di Pwc si sono occupati anche di un affare che ha per protagonisti la Deutsche Bank, il più grande istituto di credito tedesco, e la Regione Sicilia dell’allora governatore Cuffaro. L’operazione, che ha preso le mosse nel 2007, ruota attorno al fondo Global Opportunities, gestito da Deutsche Bank attraverso una piramide societaria che parte dallo Stato americano del Delaware, transita da Malta e infine approda in Lussemburgo. E qui, all’ombra della favorevole legislazione fiscale del Granducato, prosperano le holding che tirano le fila di alcuni fondi immobiliari italiani. Col nome in codice di un vino, “Malvasia”, il ruling datato 2010 identifica l’operazione che ha portato sotto l’ombrello di Global Opportunities un gran numero di palazzi ceduti dalla Regione Sicilia. E confluiti in un apposito fondo immobiliare. Un’operazione discussa, perché l’ente pubblico si riprendeva in affitto quegli stessi palazzi pagando canoni milionari. Polemiche anche sulla selezione dei soci privati: accanto a big del livello di Prelios (all’epoca controllata da Pirelli), compare anche un immobiliarista di Pinerolo, Ezio Bigotti.
Hines Italia, interpellata da”l’Espresso”, dichiara di «occuparsi solo dei fondi italiani», per cui «non è coinvolta nelle questioni fiscali degli investitori esteri». Mentre Coima precisa di «non aver mai preso parte» ai ruling e comunque la sua «limitata partecipazione al fondo Isola»è «soggetta esclusivamente alla fiscalità italiana».
I consulenti di Pwc si sono occupati anche di un affare che ha per protagonisti la Deutsche Bank, il più grande istituto di credito tedesco, e la Regione Sicilia dell’allora governatore Cuffaro. L’operazione, che ha preso le mosse nel 2007, ruota attorno al fondo Global Opportunities, gestito da Deutsche Bank attraverso una piramide societaria che parte dallo Stato americano del Delaware, transita da Malta e infine approda in Lussemburgo. E qui, all’ombra della favorevole legislazione fiscale del Granducato, prosperano le holding che tirano le fila di alcuni fondi immobiliari italiani. Col nome in codice di un vino, “Malvasia”, il ruling datato 2010 identifica l’operazione che ha portato sotto l’ombrello di Global Opportunities un gran numero di palazzi ceduti dalla Regione Sicilia. E confluiti in un apposito fondo immobiliare. Un’operazione discussa, perché l’ente pubblico si riprendeva in affitto quegli stessi palazzi pagando canoni milionari. Polemiche anche sulla selezione dei soci privati: accanto a big del livello di Prelios (all’epoca controllata da Pirelli), compare anche un immobiliarista di Pinerolo, Ezio Bigotti.
Il ruling sottoposto alle autorità fiscali del Lussemburgo riguarda anche in questo caso il trattamento fiscale da riservare ai bond ibridi. Questa volta però i consulenti giungono alla conclusione, approvata dalla controparte, che quei titoli vadano trattati come debito. Il risultato finale è comunque favorevole agli investitori. La legge del Granducato, infatti, è molto più generosa di quella italiana anche sugli interessi: quelli passivi si possono detrarre senza limiti dai redditi, mentre per quelli attivi la tassazione è bassa o nulla. Irrisorie anche le imposte sui profitti, regolate proprio dai ruling: le holding pagano l’1 per cento; le sub-holding lo 0,25; le sub-subholding lo 0,125 per cento. Significa che per ogni milione di profitti incamerati in Lussemburgo, la tassazione massima è di diecimila euro.
Il gruppo Pirelli, contattato da “l’Espresso”, ha precisato che «nessun ruling è mai stato chiesto» da alcuna sua società e neppure dalla partecipata lussemburghese «Bicocca sarl», per cui gli «eventuali benefici fiscali» potrebbero riguardare altri.
Per molti anni chi ha investito tramite il Lussemburgo ha fatto affari d’oro anche grazie a una distorsione di una direttiva europea (chiamata “madre-figlia”), originariamente varata per evitare casi di “doppia tassazione”. Come dire che una società-figlia può distribuire profitti esentasse a una società-madre con sede in uno Stato diverso. Il presupposto logico è che le tasse le paghi quest’ultima nel suo Paese. Ma il sistema dei bond ibridi ha spesso consentito di realizzare una “doppia non tassazione”: sui redditi legati a questi particolari titoli non viene pagata nessuna imposta, né in Italia né in Lussemburgo. Una prassi consacrata proprio dai ruling. L’Ue, nei mesi scorsi, ha varato una modifica di quella direttiva: in futuro i prestiti ibridi non potranno più azzerare le tasse in entrambi i Paesi. Ma i profitti già incamerati restano intoccabili.
I ruling lussemburghesi sono stati utilizzati anche da banche italiane per “ottimizzare” i carichi fiscali. Ad esempio la Banca delle Marche, che oggi è in gravi difficoltà, nel 2005 aveva creato in Lussemburgo una società di gestione di un fondo. Nel 2010 l’allora vertice dell’istituto ha trasferito alla società lussemburghese altre attività, di cui il ruling non precisa il valore. A quel punto la banca si rivolge alle autorità per stabilire un valore di “avviamento” e quindi la misura dell’ammortamento da dedurre fiscalmente. Ruling analoghi sono stati firmati nel 2009 da Unicredit International e nel 2008 dalla San Paolo Bank, una controllata lussemburghese dell’istituto di Torino, che a fine 2007 si è fuso con Intesa. Dal punto di vista italiano, il problema è la provenienza dei beni da ammortizzare. Arrivano dall’Italia? E come sono stati trasferiti alla controllata in Lussemburgo? Sono possibili due ipotesi. In caso di cessione, si porrebbe una questione di correttezza del prezzo dichiarato: una direttiva europea, infatti, impone di rispettare parametri oggettivi, proprio per evitare manovre fiscali tra società dello stesso gruppo. Nel caso opposto di scissione, invece, il riconoscimento di un avviamento in Lussemburgo, con relativo ammortamento, costituisce un vantaggio fiscale non riconosciuto in Italia.
Banca delle Marche, interpellata da “l’Espresso”, precisa che la sua società lussemburghese «promuoveva fondi la cui gestione era delegata a Eurizon del gruppo Intesa» e comunque «è stata liquidata nel dicembre 2011», per cui oggi «il ruling non ha più nessun effetto». Da Unicredit e Intesa San Paolo, per ora, nessun commento.
Anche Banca Sella nel 2009 ha siglato un ruling, con l’obiettivo di trasferire le perdite della sua controllata lussemburghese a una nuova società, nata da una scissione. Questo tipo di beneficio è ammissibile anche in Italia, ma a condizioni molto restrittive, di cui non c’è traccia nel ruling. Confermando il contenuto dell’accordo, Banca Sella ha chiarito a “l’Espresso” di aver «cessato ogni operatività in Lussemburgo nel 2011», quando ha ceduto la sua controllata «al gruppo Credit Andorra». Quindi «il ruling ha permesso di trasferire all’acquirente i benefici fiscali delle perdite». Mentre la scissione «non ha trasferito alcuna attività dall’Italia al Lussemburgo».
Nei documenti di Pwc spunta anche un gruppo pubblico come Finmeccanica, che nel 2010 si è rivolto alle autorità lussemburghesi per ristrutturare le proprie società nel Granducato evitando tasse aggiuntive. Un riassetto in due mosse: liquidazione di Mecfint, con distribuzione dell’attivo alla società-madre; e fusione di Finance dentro Aeromeccanica, controllata dalla capogruppo italiana. Finmeccanica per ora non ha risposto alle richieste di chiarimenti. Mentre il testo del ruling non specifica quali volumi di denaro siano entrati e usciti dalle società lussemburghesi di Finmeccanica, attive fin dagli anni Novanta. Di certo in quel periodo migliaia di aziende hanno trasferito la tesoreria in Lussemburgo, per gestire i prestiti tra società interne al gruppo approfittando dei vantaggi fiscali previsti anche per gli interessi (sia passivi che attivi). È dunque verosimile che Finmeccanica abbia creato le sue finanziarie lussemburghesi per raccogliere prestiti all’estero e abbattere le imposte in Italia. Se fosse così, il risultato sarebbe memorabile: perfino un’azienda di Stato avrebbe utilizzato il Lussemburgo per pagare meno tasse. Allo stesso Stato italiano che la controlla.
ha collaborato Alfredo Faieta
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