da: Corriere della Sera
Salvini all’attacco: «In
quei caseggiati ci vuole l’esercito». L’azienda che gestisce gli alloggi non ha
soldi per ristrutturare e le assegnazioni ritardano
di Andrea
Galli e Gianni Santucci
Un pezzo di cemento caduto sul pavimento,
fenditure nere si allungano fino a terra nell’intonaco rosa, la scatola della
presa elettrica penzola appesa a un filo.
La porta resisteva. E così hanno spaccato
il muro. Via Ricciarelli, quartiere San Siro, sabato 25 ottobre, ore 15: tre
ragazze rom stanno sedute sul bordo dell’aiuola nel cortile, la madre tiene in
mano due sacchetti, il poliziotto restituisce i documenti. Sgomberate «in
flagranza». Avevano occupato nella notte. Questa però non è un’occupazione, nella
denuncia il reato verrà classificato come «violazione di domicilio». Perché
quell’alloggio popolare, a poche centinaia di metri dallo stadio «Meazza» di
Milano, era abitato. Assegnato a un uomo ricoverato in ospedale per problemi
psichiatrici.
Le denunce del genere, nell’ultimo anno,
sono più di 50. È la frontiera estrema della battaglia per la casa che si
combatte ogni giorno nelle periferie di Milano. Basta spostare di poco lo
sguardo dai cantieri dell’Expo per vedere l’altra città, quella delle periferie.
Che sta affondando in un conflitto sociale vicino al punto di rottura.
La
rincorsa
Ecco, stiamo a quel sabato pomeriggio: da
San Siro l’ispettore dell’Aler, azienda milanese delle case popolari, viene
chiamato per un’occupazione in via Etruschi. Quartiere Calvairate. Porta
sfondata. Dentro, un rifugiato politico georgiano, con la moglie e un figlio.
Rifiuta di uscire. Denunciato. Passa un’ora. Quando l’ispettore esce, in
cortile si avvicina la custode: «Guarda che hanno occupato anche nell’altra scala».
Quarto piano: la porta era stata già sfondata in passato, l’ingresso blindato
con una lastra d’acciaio. Questa è una nuova occupazione. Ragazza rom. Si
rifiuta di uscire. Ha tre bambini. Non può essere allontanata con la forza.
Così le case popolari di Milano scivolano nell’illegalità.
Per avere un’idea: solo nella settimana tra
il 20 e il 26 ottobre, gli ispettori dell’Aler che lavorano 24 ore su 24 sono
intervenuti su 39 tentativi di occupazione abusiva; 16 sono invece le
occupazioni «riuscite». Più di due al giorno. Ed è così da due anni: 1.400 case
occupate dall’inizio del 2013; più 870 sgomberi «in flagranza» (quando gli
ispettori riescono a liberare l’alloggio quasi «in diretta», o gli abusivi
scappano prima che qualcuno chiami il 112). Per avere un termine di paragone:
nel 2011 le nuove occupazioni erano «appena» 99, gli sgomberi «in flagranza»
557. Eccolo, il disastro della Milano popolare.
La
decadenza
È un disastro che ha spiegazioni abbastanza
chiare. L’Aler, azienda pubblica della Regione Lombardia, ha chiuso il 2013 con
un buco di 60 milioni in cassa e 90 milioni di arretrati con i fornitori. Vuol
dire bloccare le manutenzioni, le ristrutturazioni dei palazzi, e anche quelle
interne delle case: per questo molti alloggi non possono essere assegnati a
nuovi inquilini (in lista d’attesa ci sono oltre 20 mila famiglie). Così
restano vuoti, e diventano «preda» degli abusivi.
Il rosso profondo dei bilanci Aler è stato
ereditato dalle passate gestioni, quelle che a metà anni 2000 avevano
costituito una piccola società partecipata con l’obiettivo di andare a
ristrutturare gli stabili storici di Tripoli, negli anni in cui Gheddafi veniva
ospitato a Roma con «amazzoni» e tende beduine. L’assessore regionale alla
casa, Paola Bulbarelli, ha sbloccato i fondi per ristrutturare 400 case, più 30
milioni freschi per le casse Aler. Il nuovo presidente, l’ex prefetto Gian
Valerio Lombardi, ha studiato un piano di risanamento che prevede la vendita di
6.700 alloggi. Ma c’è il rischio che tutto questo non basterà.
Un inquilino su tre, nelle case popolari,
non paga né l’affitto, né le spese per riscaldamento e pulizie. L’Aler gestisce
le 40 mila case popolari di sua proprietà, più le 29 mila del Comune. Una città
nella città. Il totale degli arretrati che l’azienda dovrebbe riscuotere ha
raggiunto la cifra stratosferica di 306 milioni, due terzi dei quali sono ormai
dati per «irrecuperabili», anche se solo nel 2013 l’azienda ha inviato 160 mila
solleciti di pagamento. La commissione d’inchiesta istituita dal presidente
della Lombardia, Roberto Maroni, potrebbe chiarire cosa sia accaduto in
passato. Il futuro invece è precario, come la struttura del palazzo di via
Lorenteggio, storico quartiere operaio, che era stato occupato per intero da un
gruppo di rom: l’estate scorsa è crollato un balcone. E solo per un caso non
c’era nessuno in cortile.
Il
divorzio
Il sindaco Giuliano Pisapia l’ha ripetuto
spesso nelle riunioni con la sua giunta: «Sulla casa non va bene, bisogna fare
di più». Si sono separati: dopo la rottura della convenzione con l’Aler, il
Comune ha deciso di gestire «in proprio» le sue 29 mila case popolari.
Obiettivo: migliorare le condizioni di vita dei cittadini. Anche perché le
prossime elezioni si decideranno in quei quartieri, dove gli abusivi bruciano
le porte di casa agli inquilini che protestano. Così la Lega ha lanciato una
campagna con la frase del segretario, Matteo Salvini: «Nei caseggiati popolari
ci vuole l’esercito, per sgomberare gli occupanti porta a porta». Proposta
buona, forse, per toccare la pancia degli inquilini (elettori) esasperati. Come
l’anziana che vive tra abusivi e spacciatori in un alloggio del Giambellino, e
dice: «Non crescono più neppure i fiori in cortile. Ormai ci odia anche la
natura».
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