Ecco
la mia sinistra: sta con i più deboli e non ha bisogno di esami del sangue
Il
premier scrive a Repubblica: "Ho rivendicato l'appartenenza del Pd alla
famiglia socialista europea. Per me parlano i miei comportamenti"
di Matteo
Renzi
Caro Direttore, Repubblica mi chiama in
causa personalmente. Mi chiede quale sia la nostra idea di sinistra che
rivendico, ad esempio, quando parlo della riforma del lavoro. Come lei sa, non
da ora, sono tra quelli che hanno favorito e accelerato la fine dell'era del
trattino. Quando non si poteva pronunciare la parola sinistra senza premettere
qualche prefisso per attenuarla, quasi a prendere le distanze. Ho sempre
rivendicato, con fierezza ed orgoglio, l'appartenenza del Partito democratico
alla sinistra, alla sua storia, la sua identità plurale, le sue culture, le sue
radici. Per questo ho spinto al massimo perché il Pd, dopo anni e anni di
dibattito, fosse collocato in Europa dove è adesso, dentro la famiglia
socialista della quale oggi, grazie al risultato delle ultime elezioni, è il
primo partito con oltre 11 milioni di voti. Questo per dire che nei
comportamenti concreti, nelle scelte strategiche, il Pd sa da che parte stare.
Dalla parte dei più deboli, dalla parte
della speranza e della fiducia in un futuro
che va costruito insieme. Non credo
sia il caso qui e ora di discutere di pantheon e di storie, ognuno ha i suoi
riferimenti, le persone che ci hanno ispirato nella azione politica. Dico solo
che nel Partito democratico hanno tutti cittadinanza alla pari, così come le
tradizioni, le esperienze, le parole che ognuno di noi porta dentro questo
progetto che è collettivo e anche personale perché riguarda nel profondo ognuno
di noi, e non perché come vorrebbe chi ci vuole male c'è un uomo solo al
comando. Quella del Pd è una sfida plurale, un progetto condiviso da milioni di
persone, non la tigna di un individuo. Ed è per questo, però, che non possiamo
permetterci di restare fermi a un passato glorioso, ma rivitalizzarlo ogni
giorno cambiando, trovando soluzioni concrete ed efficaci a problemi che si
trasformano e che riguardano da vicino la vita delle persone.
So che Repubblica non vuole farci un esame
del sangue, come invece pretenderebbe qualcuno anche dalle parti del sindacato.
Lo dico per rispondere alla premessa del vostro editoriale, di una mancanza di
rispetto nei confronti di una storia e di una rappresentanza. Non è la mia
intenzione, ho un profondo rispetto per il lavoro e per i lavoratori che il
sindacato rappresenta. E non sono parole formali. Penso, tuttavia, che
altrettanto rispetto sia da chiedere anche nei confronti di un governo che sta
cambiando il mondo del lavoro per evitare che alibi e tabù tengano fuori dal
mercato milioni di lavoratori solo perché non hanno contratto o sono precari.
Penso che il modo più utile per difendere i diritti dei lavoratori sia quello
di estenderli a chi ancora non ce li ha, di aprire le porte di uno spazio
rimasto troppo chiuso per troppi anni. Altrimenti qualcuno ci deve spiegare
perché con tutto l'articolo 18 abbiamo una disoccupazione a doppia cifra che
cresce in questo paese.
Sono pronto sempre al confronto, da mesi
giro l'Italia in lungo e largo, visitando aziende, stringendo le mani di chi
lavora, parlando del futuro del paese in una competizione sempre più dura nel
mondo. Non siamo noi, non è il governo, non è il Partito democratico a cercare
lo scontro. Siamo noi, però, a porre il tema di un mondo che cambia, nel quale
non possiamo più permetterci di non dare tutele alle donne che non hanno
garanzie se aspettano un figlio. Un mondo nel quale la selva di contratti
precari e precarizzanti deve essere disboscata, semplificata. Un mondo nel
quale esista una rete di strumenti di welfare che sostenga chi perde il lavoro
e lo metta in condizione di trovarne un altro.
Se entriamo nel merito del Jobs Act vediamo
che non c'è riforma più di sinistra. L'altra sera, al PalaDozza di Bologna, nel
cuore di quella Emilia rossa fatta di tradizione e pragmatismo, di storia e
senso pratico, il passaggio più sentito di un intervento che ho fatto per
sostenere Stefano Bonaccini come presidente di Regione è stato quello sul
sindacato che non ha manifestato contro la Legge Fornero e oggi manifesta
contro il Jobs Act. E avevo davanti una platea di militanti e dirigenti, molti
dei quali vengono proprio dalla storia profonda della sinistra italiana.
Allora, io mi faccio molte domande, mi interrogo e sento la responsabilità del
cambiamenti che stiamo portando, che è autentica e non di facciata. Ma vorrei
che anche il sindacato e più in generale il mondo della sinistra si chiedesse
se non ci sia una grande opportunità da cogliere. Per questo penso che la
battuta su Berlusconi e Verdini che fa l'editoriale di Repubblica sbagli
indirizzo e destinatario. Il Pd ha chiara la differenza tra maggioranza e opposizione
così come ha chiaro che le regole del gioco si prova a cambiarle assieme per
poi tornare a dividersi su tutto il resto.
L'alternativa all'Italicum è lo status quo
proporzionalistico. Che convince chi ha in mente un disegno neocentrista che
fino a qualche mese fa era sul tavolo e che noi abbiamo sparecchiato. Mi viene
rimproverato anche di scherzare coi gufi e coi soloni. Penso che un po' di
ironia, Direttore, possa aiutare tutti a mettere a fuoco meglio le nostre
posizioni, non per banalizzarle, ma per metterle in prospettiva. Per noi la
sinistra è storia e valori, certo, è Berlinguer e Mandela, Dossetti e Langer,
La Pira e Kennedy, Calamandrei e Gandhi. Ma è soprattutto un futuro su cui
lavorare insieme per risolvere i problemi delle persone, per dare orizzonte e
dignità, per sentirsi parte e avere orgoglio di essere non solo di sinistra, ma
italiani.
Il mondo in questi mesi è cambiato,
l'Italia in questi mesi è cambiata; l'Italia delle Istituzioni, del lavoro,
della pubblica amministrazione, della giustizia. Una libertà ingiusta, una
libertà per pochi, è la ragione sociale della destra. Ma una giustizia
illiberale, una giustizia cioè che pretenda di essere per tutti ma senza
rispetto per la libertà dei singoli, è la prigione ideologica di una sinistra
che ha una visione odiosa delle cose. Tocca a noi recuperare questo ritardo,
rivoluzionando come democratici questo meraviglioso paese. Ci sono due modi per
cambiare l'Italia. Farlo noi da sinistra. O farlo fare ai mercati, da fuori.
Sostenere che le ricette siano le stesse cozza contro la realtà. In ciò sta
tutta la nostra idea di sinistra. Parole che producono fatti. Perché il tempo
delle parole, giuste o sbagliate, slegate dai fatti, è un tempo che abbiamo
deciso di lasciarci alle spalle per sempre.
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