da: la
Repubblica
Addio
art.18, indennità a chi perde il lavoro Via al controllo su pc e cellulari
aziendali
Ci
sarà il contratto a tutele crescenti per i neoassunti e il demansionamento in
seguito a una riorganizzazione. Reintegro solo in alcuni casi di
licenziamento disciplinare illegittimo. Niente Cig se l’azienda non ha più
futuro.
di Roberto Mania
Una formula americana,
Jobs Act, non ha impedito che in Italia si scatenasse l’ennesimo scontro sulla
riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970, quello sui
licenziamenti ingiustificati. Eppure il “pacchetto Renzi” sul lavoro — diverso
dall’originale obamiano Jobs Act (acronomico di Jumpstart Our Business Startup)
che puntava su norme e finanziamenti a favore delle nuova piccole imprese per
creare nuova occupazione — ha, sulla carta, anche altri obiettivi: ridurre la
precarietà sfoltendo la selva delle tipologie di contratti atipici, fare del
contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti il perno del nuovo mercato
del lavoro, estendere gli ammortizzatori sociali, così come le tutele per la
maternità a chi oggi ne è privo, favorire il ricorso ai contratti di
solidarietà al posto della cassa integrazione, rafforzare il ruolo dello Stato
centrale nelle politiche attive per il lavoro con la nascita dell’Agenzia
nazionale del lavoro e forse anche destinando più risorse visto che siamo in
fondo alla classifica europea con solo lo 0,025 per cento del Pil.
Insomma, cambiare il
mercato del lavoro, cominciando a spostare le tutele dal posto di lavoro
(tarate così in base alle dimensioni dell’azienda, al suo settore di attività e
anche alla sua collocazione geografica) al lavoratore nel suo percorso
professionale, sperimentando pure il salario minimo per chi non è coperto dai
contratti e rivedendo gli incentivi all’occupazione. In qualchemodo la via
italiana alla flexicurity.
Tutta ancora da scrivere,
però. Perché la legge approvata ieri dalla Camera e alla quale il Senato darà
il via libera definitivo nella prima decade di dicembre, delega il governo a
definire nel dettaglio, con i decreti attuativi, le soluzioni concrete. A
cominciare da quella sui licenziamentiindividuali senza giusta causa.
I
LICENZIAMENTI
Il vecchio articolo 18
dello Statuto, quello che prevedeva il reintegro nel posto di lavoro nel caso
di licenziamento individuali senza giusta causa, non c’è ormai più. Già la
legge Fornero del 2012 l’aveva fortemente depotenziato. Il reintegro resterà
solo nei casi di licenziamenti nulli o discriminatori, decisi, cioè, sulla base
del sesso, della religione, delle opinioni politiche ecc, del dipendente. In
questi casi, accertati dal giudice, il lavoratore licenziato avrà diritto a
tornare nel suo posto di lavoro. Per i licenziamenti economici, quindi conseguenti
ad una crisi dell’azienda, sarà previsto esclusivamente il risarcimento
monetario. Riemergerà la cosiddetta “tutela reale” (il reintegro) solo in
alcune «specifiche fattispecie » dei licenziamenti disciplinari, ben tipizzate
in modo tale da ridurre al minimo la discrezionalità dei giudici. I tecnici di
Palazzo Chigi e del ministero del Lavoro stanno già scrivendo le norme
attuative. Si è ipotizzato di limitare il reintegro ai lavoratori licenziati
con l’accusa rivelatasi poi infondata di aver commesso un reato perseguibile
d’ufficio. Più probabilmente il reintegro scatterà quando si accerterà che il
dipendente è stato licenziato sulla base di un’accusa poi scoperta falsa, come
quella, per esempio, di aver rubato. Non è escluso che il datore di lavoro possa
optare per il pagamento di un indennizzo ma più alto di quello previsto nelle
altre situazioni. Nei casi di conciliazione diretta tra le parti il lavoratore
non dovrebbe pagare le tasse sulla cifra ottenuta come risarcimento.
IL
CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI
Il decreto attuativo sul
nuovo articolo 18 sarà anche quello che introdurrà il contratto a tempo
indeterminato a tutele crescenti. Il governo vuole che entri in vigore dal
primo gennaio del 2015 insieme agli incentivi fiscali e contributivi (eliminazione
del costo del lavoro dal calcolo dell’Irap, azzeramento dei contributi per i
primi tre anni) previsti dalla legge di Stabilità per i neo-assunti. È il
contratto su cui scommette l’esecutivo. Per tutti i neoassunti (compreso chi
passerà da un posto ad un altro) con contratto a tutele crescenti varranno le
nuove regole sui licenziamenti. A crescere sarà solo l’ammontare
dell’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato. E crescerà con
l’anzianità di servizio maturata dal lavoratore.
MENO
CONTRATTI ATIPICI
Parallelamente con
l’arrivo del contratto a tutele crescenti, incentivato dagli scontri fiscali e
contributivi, dovrebbero ridursi le altre tipologie contrattuali. In ogni caso
il nuovo contratto non sarà l’unico contratto, come si era ipotizzato diverso
tempo fa. Il governo ha detto che intende far morire i contratti di
collaborazione (i co. co. co) ma non ha precisato quali altre tipologie
scompariranno.
NUOVI
AMMORTIZZATORI SOCIALI
Cambierà anche l’attuale
Aspi (assegno sociale per l’impiego), cioè la vecchia indennità di
disoccupazione, e la cosiddetta mini-Aspi, destinata oggi alle circa 300 mila
collaborazioni monoc ommittenti che il governo vuol fare rientrare nel lavoro
subordinato. La platea dei destinatari dell’Aspi dovrebbe essere estesa e forse
anche la durata. Molto dipenderà dalle risorse disponibili, per ora ci sono 1,9
miliardi. La riforma complessiva della cassa integrazione arriverà solo in un
secondo momento. Nella legge è già stabilito che la cessazione dell’attività
aziendale o anche solo di un ramo non permetterà come accade oggi di accedere
alla cassa integrazione.
MANSIONI
E CONTROLLI
E in caso di crisi
aziendali sarà possibile demansionare il lavoratore per salvaguardare il suo
posto di lavoro. L’abbassamento dell’inquadramento professionale non dovrebbe
comportare una riduzione della retribuzione. Possibili pure i controlli a
distanza sugli impianti e sugli strumenti da lavoro (dal personal computer al
cellulare) affidati al dipendente.
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