Vabbè…non può fare tutto Renzi. Lui fa le slide (o le fa fare alla Boschi) con il power point, che gli altri facciano i testi con word..
da: Il Fatto Quotidiano
Jobs
Act, la legge di Renzi l’ha scritta Confindustria
Squinzi
& C. si congratulano per la svolta e vedono la ripresa nel 2015
Il
documento di Squinzi “Proposte per il mercato del lavoro” contiene già tutto il
Jobs Act: via l’articolo 18, “demansionamento”, controlli sui dipendenti
di Marco
Palombi
Il Centro Studi di Confindustria, per la crescita, ha adottato la politica di Giorgio Gaber sulla rivoluzione: oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente. In pratica quest’anno sul Pil non si muove foglia, l’anno prossimo può essere, ma dopo sarà una pacchia. D’altronde, scrivono gli analisti degli imprenditori, “le riforme strutturali danno frutti nel medio termine, ma nell’immediato rispondono alla domanda di cambiamento del Paese e restituiscono così la fiducia necessaria a rilanciare consumi e investimenti”. Che lo dicano non è così sorprendente se si considera – come vi mostriamo in questa pagina – che l’unica riforma strutturale in dirittura d’arrivo, il Jobs Act, l’hanno scritta loro.
Non è un’esagerazione, ma la lettura comparata tra il testo Proposte per
il mercato del lavoro e della contrattazione pubblicato da Confindustria a
maggio e il ddl delega uscito dalla Camera: sono uguali. Esiste anche una
conferma negativa: il Jobs Act reale non ha infatti praticamente niente a che
fare con le linee guida che Renzi annunciò in pompa magna a gennaio.
Testi a confronto: ecco quello scritto dagli industriali
Sono anni che gli imprenditori tentano di
manomettere lo Statuto dei lavoratori, ma non era mai capitato che un governo
facesse proprie le loro proposte senza cambiarle di una virgola. Per esserne
certi basta leggere le Proposte di cui sopra. Il testo si apre con una lamentazione
sul declino italiano: c’è stata una perdita di produttività enorme, dice
Confindustria, colpa anche di quegli avidi dei lavoratori italiani che hanno
ottenuto aumenti di stipendio “che non avrebbero dovuto aver luogo”. Non solo:
“Nel 2010 e 2011, all’accentuarsi della crisi, sia in Germania che in Spagna si
è operato un aggiustamento verso il basso del livello delle retribuzioni reali,
non così in Italia”. E quindi? “Questi dati devono guidare le nostre linee di
riforma”. Insomma, il fine è tagliare gli stipendi. Ma quali sono queste linee?
Lo spiega senza timidezze il box Interventi sulle tipologie contrattuali:
“Occorre rendere più flessibile il contratto a tempo indeterminato”. Tradotto:
via l’articolo 18 e libertà di licenziamento. E come? “Limitare la tutela della
reintegrazione ai soli casi di licenziamento discriminatorio o nullo e
prevedere la tutela indennitaria” per tutti gli altri. Il Jobs Act – e solo per
un emendamento imposto al governo dalla sinistra Pd – cambia la formula
aggiungendo la reintegra anche per alcuni licenziamenti disciplinari. Poca
roba. Seconda richiesta: “Rendere più flessibile la nozione di equivalenza
delle mansioni”. È il famoso demansionamento, che ovviamente Renzi ha inserito
nel Jobs Act: oggi è possibile dequalificare un lavoratore – col suo accordo o
quello dei sindacati – solo in presenza di una crisi aziendale, nel mondo della
Leopolda deciderà l’impresa e basta. Terza richiesta: “Aggiornare la disciplina
dei controlli a distanza”. Fatto. Il Jobs Act cancella di fatto l’articolo 4
dello Statuto dei lavoratori, che impedisce, per dire, di puntare una
telecamera su un dipendente per controllarlo oppure monitorarne le operazioni
sul Pc. L’era dei polli da batteria aziendali sta per cominciare.
E ancora: bene il contratto unico a tutele
crescenti – scrive Confindustria – però “non può sostituire tutte le altre
tipologie contrattuali esistenti”. Il governo, ovviamente, si adegua e passa
dal disboscamento radicale delle attuali 46 forme contrattuali degli annunci di
Renzi all’invito al governo a “valutare” la situazione e semmai... Il premier,
ad esempio, dice che cancellerà i Co.co.pro., tipologia contrattuale famosa che
però stava già morendo di suo (all’uopo le imprese hanno già il sostituto: il
comodissimo “tempo determinato” disegnato dal decreto Poletti).
Finita? Macché. Le imprese chiedono –
nell’apposita sezione “Ammortizzatori” – l’estensione a tutte le aziende del
“contratto di solidarietà espansivo” (meno ore di lavoro e meno stipendio in
cambio di qualche assunzione) anche alle aziende che oggi non ne hanno diritto:
i criteri sono gli stessi per la concessione della Cig straordinaria. Fatto.
Tutto il sistema comunque, dice Confindustria, va “riformato profondamente”. Il
primo passo? Bisogna “porre fine subito all’esperienza degli ammortizzatori
sociali in deroga”. Fatto pure questo.
Memorabilia: Così la pensava Matteo a gennaio
Si potrebbe continuare con le coincidenze
tra il ddl delega del governo e le Proposte di Confindustria, ma lo schema è
chiaro. Più curioso che il Jobs Act reale sia invece solo un lontano parente di
quello che Renzi presentò in gennaio, quand’era segretario del Pd da un mese e
a Palazzo Chigi c’era Enrico Letta: in quel testo, peraltro, tutta questa roba
confindustriale non c’era. A gennaio, il primo punto all’ordine del giorno era
scrivere (“entro 8 mesi”) un Codice unico del lavoro con le norme esistenti in
modo che fosse traducibile in inglese: è passato un anno... Il punto due era
invece la “riduzione delle varie forme contrattuali che hanno prodotto uno
spezzatino insostenibile” per andare verso “un contratto di inserimento a tempo
indeterminato a tutele crescenti”. E l’articolo 18? Neanche una parola:
d’altronde per il Renzi pre-Chigi si trattava di “un falso problema”.
Al punto 3 Renzi proponeva un “assegno universale” di disoccupazione. Nella delega l’impegno c’è, ma si dice che i soldi verranno stanziati con altri interventi nel bilancio dello Stato: peccato che nel ddl Stabilità attualmente in Parlamento a questo fine non c’è un euro.
Al punto 3 Renzi proponeva un “assegno universale” di disoccupazione. Nella delega l’impegno c’è, ma si dice che i soldi verranno stanziati con altri interventi nel bilancio dello Stato: peccato che nel ddl Stabilità attualmente in Parlamento a questo fine non c’è un euro.
Rispettato invece l’impegno a istituire
un’Agenzia unica per gestire le politiche attive del lavoro (anche qui però
mancano i soldi), mentre “l’obbligo di rendicontazione online” per chi usa
soldi pubblici per la formazione e la sospirata “legge sulla rappresentanza
sindacale” il povero Renzi se le è proprio dimenticate, come pure i “sette
piani industriali dettagliati per settore” con cui creare “nuovi posti di
lavoro”. È un vecchio adagio: si fa campagna elettorale in poesia e si governa
in prosa. E a Confindustria hanno degli ottimi prosatori.
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