venerdì 28 novembre 2014

Non può far tutto Renzi.....: Job Act, la legge l’ha scritta Confindustria



Vabbè…non può fare tutto Renzi. Lui fa le slide (o le fa fare alla Boschi) con il power point, che gli altri facciano i testi con word..


da: Il Fatto Quotidiano

Jobs Act, la legge di Renzi l’ha scritta Confindustria
Squinzi & C. si congratulano per la svolta e vedono la ripresa nel 2015
Il documento di Squinzi “Proposte per il mercato del lavoro” contiene già tutto il Jobs Act: via l’articolo 18, “demansionamento”, controlli sui dipendenti
di Marco Palombi

Il Centro Studi di Confindustria, per la crescita, ha adottato la politica di Giorgio Gaber sulla rivoluzione: oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente. In pratica quest’anno sul Pil non si muove foglia, l’anno prossimo può essere, ma dopo sarà una pacchia. D’altronde, scrivono gli analisti degli imprenditori, “le riforme strutturali danno frutti nel medio termine, ma nell’immediato rispondono alla domanda di cambiamento del Paese e restituiscono così la fiducia necessaria a rilanciare consumi e investimenti”. Che lo dicano non è così sorprendente se si considera – come vi mostriamo in questa pagina – che l’unica riforma strutturale in dirittura d’arrivo, il Jobs Act, l’hanno scritta loro.
Non è un’esagerazione, ma la lettura comparata tra il testo Proposte per il mercato del lavoro e della contrattazione pubblicato da Confindustria a maggio e il ddl delega uscito dalla Camera: sono uguali. Esiste anche una conferma negativa: il Jobs Act reale non ha infatti praticamente niente a che fare con le linee guida che Renzi annunciò in pompa magna a gennaio.

Testi a confronto: ecco quello scritto dagli industriali
Sono anni che gli imprenditori tentano di manomettere lo Statuto dei lavoratori, ma non era mai capitato che un governo facesse proprie le loro proposte senza cambiarle di una virgola. Per esserne certi basta leggere le Proposte di cui sopra. Il testo si apre con una lamentazione sul declino italiano: c’è stata una perdita di produttività enorme, dice Confindustria, colpa anche di quegli avidi dei lavoratori italiani che hanno ottenuto aumenti di stipendio “che non avrebbero dovuto aver luogo”. Non solo: “Nel 2010 e 2011, all’accentuarsi della crisi, sia in Germania che in Spagna si è operato un aggiustamento verso il basso del livello delle retribuzioni reali, non così in Italia”. E quindi? “Questi dati devono guidare le nostre linee di riforma”. Insomma, il fine è tagliare gli stipendi. Ma quali sono queste linee? Lo spiega senza timidezze il box Interventi sulle tipologie contrattuali: “Occorre rendere più flessibile il contratto a tempo indeterminato”. Tradotto: via l’articolo 18 e libertà di licenziamento. E come? “Limitare la tutela della reintegrazione ai soli casi di licenziamento discriminatorio o nullo e prevedere la tutela indennitaria” per tutti gli altri. Il Jobs Act – e solo per un emendamento imposto al governo dalla sinistra Pd – cambia la formula aggiungendo la reintegra anche per alcuni licenziamenti disciplinari. Poca roba. Seconda richiesta: “Rendere più flessibile la nozione di equivalenza delle mansioni”. È il famoso demansionamento, che ovviamente Renzi ha inserito nel Jobs Act: oggi è possibile dequalificare un lavoratore – col suo accordo o quello dei sindacati – solo in presenza di una crisi aziendale, nel mondo della Leopolda deciderà l’impresa e basta. Terza richiesta: “Aggiornare la disciplina dei controlli a distanza”. Fatto. Il Jobs Act cancella di fatto l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, che impedisce, per dire, di puntare una telecamera su un dipendente per controllarlo oppure monitorarne le operazioni sul Pc. L’era dei polli da batteria aziendali sta per cominciare.
E ancora: bene il contratto unico a tutele crescenti – scrive Confindustria – però “non può sostituire tutte le altre tipologie contrattuali esistenti”. Il governo, ovviamente, si adegua e passa dal disboscamento radicale delle attuali 46 forme contrattuali degli annunci di Renzi all’invito al governo a “valutare” la situazione e semmai... Il premier, ad esempio, dice che cancellerà i Co.co.pro., tipologia contrattuale famosa che però stava già morendo di suo (all’uopo le imprese hanno già il sostituto: il comodissimo “tempo determinato” disegnato dal decreto Poletti).
Finita? Macché. Le imprese chiedono – nell’apposita sezione “Ammortizzatori” – l’estensione a tutte le aziende del “contratto di solidarietà espansivo” (meno ore di lavoro e meno stipendio in cambio di qualche assunzione) anche alle aziende che oggi non ne hanno diritto: i criteri sono gli stessi per la concessione della Cig straordinaria. Fatto. Tutto il sistema comunque, dice Confindustria, va “riformato profondamente”. Il primo passo? Bisogna “porre fine subito all’esperienza degli ammortizzatori sociali in deroga”. Fatto pure questo.

Memorabilia: Così la pensava Matteo a gennaio
Si potrebbe continuare con le coincidenze tra il ddl delega del governo e le Proposte di Confindustria, ma lo schema è chiaro. Più curioso che il Jobs Act reale sia invece solo un lontano parente di quello che Renzi presentò in gennaio, quand’era segretario del Pd da un mese e a Palazzo Chigi c’era Enrico Letta: in quel testo, peraltro, tutta questa roba confindustriale non c’era. A gennaio, il primo punto all’ordine del giorno era scrivere (“entro 8 mesi”) un Codice unico del lavoro con le norme esistenti in modo che fosse traducibile in inglese: è passato un anno... Il punto due era invece la “riduzione delle varie forme contrattuali che hanno prodotto uno spezzatino insostenibile” per andare verso “un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti”. E l’articolo 18? Neanche una parola: d’altronde per il Renzi pre-Chigi si trattava di “un falso problema”.
Al punto 3 Renzi proponeva un “assegno universale” di disoccupazione. Nella delega l’impegno c’è, ma si dice che i soldi verranno stanziati con altri interventi nel bilancio dello Stato: peccato che nel ddl Stabilità attualmente in Parlamento a questo fine non c’è un euro.
Rispettato invece l’impegno a istituire un’Agenzia unica per gestire le politiche attive del lavoro (anche qui però mancano i soldi), mentre “l’obbligo di rendicontazione online” per chi usa soldi pubblici per la formazione e la sospirata “legge sulla rappresentanza sindacale” il povero Renzi se le è proprio dimenticate, come pure i “sette piani industriali dettagliati per settore” con cui creare “nuovi posti di lavoro”. È un vecchio adagio: si fa campagna elettorale in poesia e si governa in prosa. E a Confindustria hanno degli ottimi prosatori.

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