13 ottobre 2011
Ho l’impressione
che ci sia un equivoco di fondo. E gli equivoci hanno un effetto negativo; in
che misura dipende dal tipo di equivoco e da chi lo scatena e come.
In questi giorni, anche nel nostro paese, cresce la protesta degli indignati. Rivolta, in particolare, contro le banche e la finanza.
Premesso che – senza voler sminuire gli studenti – mi piacerebbe capire quanti hanno una minima conoscenza dell’economia (sentito parlare di Keynes?), è indubbio che la responsabilità principale della crisi mondiale sia della finanza. Quando ero giovincella, in un periodo storico di maggiori contrapposizioni ideologiche, il “nemico” per alcuni era il capitalismo. Oggi, si ritiene che l’obiettivo sia la finanza. Forse che la finanza non sia uno degli effetti del capitalismo? Oppure ne è completamente svincolata?
Certo che no. E
allora, è un sistema che va riconsiderato. E se non ricordo male, l’ultimo
degli uomini che ho sentito tuonare contro il capitalismo era un papa: Giovanni
Paolo II.
Ma un sistema da
cosa è fatto. Solo da una concezione culturale e sociale imposta o non anche
“partecipata”.
Vale a dire: siamo
completamente vittime o non siamo anche carnefici dei nostri mali.
La finanza che inventa artefici e che lucra e ruba nei confronti di persone che non hanno la conoscenza dei prodotti che gli sono rifilati, la finanza che muove denaro e arricchisce alcuni speculando, è sicuramente motivo d’indignazione profonda.
Mi chiedo però, e
lo vorrei chiedere ai giovani studenti indignati, ai lavoratori indignati: il
fatto che tale cancro finanziario abbia messo radici e consumato la parte
vitale delle nostre esistenze non è forse perché ha trovato un terreno fertile
sul quale crescere indisturbato. La responsabilità di questa insana crescita
tumorale è solo data dell’assenza di prevenzione e controlli successivi o non
anche dalla concezione mentale e di vita delle singole persone.
Possiamo seguire l’onda dei media, che, nella migliore delle ipotesi, fanno la cronaca degli eventi, delle reazioni e pensare che tutto sia solo riconducibile a questa parola: finanza.
Se vogliamo fare
un favore a noi stessi e ai nostri figli, dobbiamo analizzare il nostro modello
di vita e cercare di capire se e in che modo debba essere rivisto.
Noi italiani in
particolare, dobbiamo abbandonare il ladrocinio, la furbizia, l’interesse
personale che è stato il terreno fertile sul quale ha poggiato, in parte, il
“male finanza”. Perché sia coloro che governano la cosa pubblica e i mercati,
sia chi vende al mercato rionale, sia noi che compriamo e “beviamo” ciò che la
cultura dell’avere e non dell’essere (una lettura o rilettura di Eric Fromm è
consigliabile) ci propina, sia i genitori che sognano per i loro figli modelli
di vita che li rendono oggetti e non soggetti, siamo corresponsabili di un
sistema complessivo che, devo ritornare a usare questa espressione, non è “per
l’uomo” ma più spesso “contro l’uomo”.
I mercanti del tempio non sono solo i finanzieri, le banche, ma anche coloro che giornalmente nella cerchia ristretta e limitata della propria attività pensano e lavorano per il proprio tornaconto, finalizzati ad accumulare ricchezza e/o a fregare il prossimo. Cambiano i soggetti e le dimensioni: dal sistema finanziario a lobby di cittadini, alla singola persona, ma la sostanza non cambia.
Se nelle nostre teste continuiamo a credere che il problema siano – esclusivamente - Finanza e Banche e non anche la continua rincorsa a modelli più o meno sottilmente imposti, o privi di quei principi e modi di vita che sono la nostra colonna vertebrale e danno “cibo mentale” anziché impoverire mentalmente e fisicamente, viviamo in un pericoloso equivoco di fondo.
Tanto più
pericoloso, tanto più siamo giovani. Vale a dire: statisticamente con una
maggiore prospettiva di vita anagrafica. Prima capiamo, meglio è. Per noi, per
le generazioni future.
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