da: https://www.corriere.it/spettacoli/
- di Emilia Costantini
Renzo
Arbore: «Io non amo questa tv. Troppe risse e volgarità»
Lo
showman torna su Rai2 il 26 settembre
ore 21,05 con il programma «No non è la BBC» dedicato al ricordo dell’amico
e compagno Gianni Boncompagni
«Non avrei mai pensato di dover ricordare
Gianni... è una cosa strana e mi turba un po’. Ma non sarà un programma
commemorativo». Renzo Arbore fa un omaggio al suo amico Boncompagni, scomparso
due anni fa: il 26 settembre ore 21,05 su Rai2 con No non è la BBC.
Un
omaggio affettuoso, non una celebrazione?
«Gianni detestava le celebrazioni... È un
format anomalo, che ho inventato nel suo ricordo per far divertire il pubblico,
non per farlo commuovere. Una long size version di oltre tre ore, con tante
testimonianze da parte di chi gli ha voluto bene: Raffaella Carrà, Ambra
Angiolini, Claudia Gerini, Piero Chiambretti... E spero che gli spettatori
siano puntuali, perché aprirò il programma con una sorpresa singolare.
D’altronde, Gianni ed io, diciamo la verità, siamo stati dei guastatori,
detestavamo i luoghi comuni».
Una
televisione e una radio diversa, quella che avete inventato voi...
«Certamente diversa da quella di oggi. In tv ormai si assiste solo a risse,
parolacce, gossip... oppure la tv del dolore e, a volte, dell’orrore. C’è
la corsa sfrenata
all’Auditel, al
mercato, quindi i programmi sono
tutti “hard”, “strong”, roba dura, che faccia dividere il pubblico oppure farlo piangere. Persino le imitazioni di
certi comici, e non mi chieda chi, sono cattive. Non esiste più quella tv
buona, tranquillizzante, riposante, ma
anche istruttiva... Insomma quella che la
gente, tornata a casa dopo il lavoro, dopo giornate magari difficili, con
problemi da risolvere, vorrebbe vedere per rilassarsi».
E
allora Arbore che trasmissioni riesce a guardare oggi?
«Spesso vado nelle reti rifugio, quelle
tematiche, dove trovo argomenti che mi interessano e mi arricchiscono. Non
voglio fare il vecchietto della situazione, che dice com’era bello ai miei
tempi. Mi sento piuttosto uno storico del costume e, siccome ho vissuto tante
stagioni felicissime, affermo che prima c’erano più idee. La stessa Rai che
frequentavamo noi era molto diversa da quella attuale: il servizio pubblico deve arricchire lo spettatore, lo deve informare, educare non diseducare e
poi lo deve divertire, possibilmente senza volgarità».
Ne
vede parecchia sul piccolo schermo?
«Accipicchia! Oltre alle liti furibonde e volgari, ragazzette
scosciate e tutte rifatte a 18 anni. Noi,
invece, potevamo fare il “cazzeggio”, potevamo sfiorare la parolina
piccante che faceva intuire il doppio senso, senza mai abbassare l’asticella
nella trivialità. Oggi regna il linguaggio stradaiolo. Le ragazze dei programmi
di Gianni, per esempio, rappresentavano un inno alla bellezza, alla solarità
dell’adolescenza».
Sì,
ma Boncompagni fu molto criticato perché teleguidava Ambra Angiolini...
«Ambra era giovanissima e aveva bisogno di
suggerimenti per reggere la presenza scenica. Siccome all’epoca non esistevano
i computer, Gianni usò l’auricolare. Il suo era uno stimolo continuo, tant’è
vero che a volte le diceva nell’orecchio cose sbagliate per metterla in
imbarazzo e sollecitare una sua reazione».
Insomma,
oggi boccia tutti?
«Le idee
buone, purtroppo, ci sono arrivate dall’estero, tipo X Factor o Italia’s Got
Talent che mi piace perché io sono sempre stato un talent scout. Però, c’è
un però: anche qui si vedono acrobati, cantanti, funamboli, prestigiatori che
si esibiscono e va bene, ma non fanno ridere, se non raramente... Solo un
aspetto mi pare importante nella tv attuale».
Quale?
«La preponderante
presenza di conduttrici. Non solo Mara Venier che ha successo con la sua
Domenica in perché nel suo studio c’è allegria, perché regala sorrisi. Ma poi
ci sono tante brave giornaliste che conducono i talk show: non mi perdo una
puntata di Lilli Gruber, è un
barometro politico di quanto accade. Mi manca tanto Nadia Toffa, e apprezzo molto la brava Andrea Delogu».
Tornando
al ricordo di Boncompagni: come avete fatto a lavorare tanti anni insieme senza
mai litigare?
«Avevamo dei buoni caratteri, sia pure
diversissimi. Sapevamo che litigare non serviva a niente, improduttivo,
preferivamo essere complici, era più creativo».
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