da: https://it.businessinsider.com/ - di Mauro
Bottarelli
“La liberazione dal contrabbando e dalle
esportazioni illegali, da una deforestazione eccessiva a vantaggio di pochi, da
un degrado incipiente che compromette il futuro del Paese e della nostra casa
comune”. Chissà se, prima pronunciare la sua omelia nella capitale del
Madagascar, Papa Francesco aveva dato un’occhiata all’ultimo report di Amazon
Watch, progetto-ombrello per la tutela della foresta amazzonica che insieme
alla branca statunitense di Friends of the Earth e Profundo ha lanciato la
proverbiale bomba a mano nello stagno, puntando il dito contro un colosso come
BlackRock. La colpa del mega-fondo newyorchese? Investire massicciamente su aziende
che “sono direttamente responsabili per la distruzione delle foreste
dell’Amazzonia e di tutto il mondo”. In questo periodo di incendi devastanti e
martellanti campagne mediatiche e social, praticamente una lettera scarlatta
apposta sul petto e destinata a sortire un effetto di esilio forzato dallo
stesso genere umano. Il titolo scelto per il report, dal canto suo, non lascia
nulla all’immaginazione – BlackRock’s Big Deforestation Problem – e le cifre
paiono decisamente compromettenti: BlackRock, infatti, sarebbe uno dei tre
principali detentori di pacchetti azionari delle 25 aziende mondiali quotate
che rientrano nella poco edificante categoria delle deforestation-risk
companies. Ovvero, ditte che producono o hanno interessi nella produzione di
soia, pasta e olio di palma, carta e cellulosa, gomma, legname da costruzione e
allevamenti intensivi di bovini e che, direttamente o indirettamente, Amazon
Watch ritiene responsabili per la deforestazione sistematica, atto necessario
al cambio di destinazione d’uso forzato dei principali “polmoni verdi”
mondiali.
Ma non basta, perché la banca d’affari
guidata da Larry Fink sarebbe fra i dieci azionisti
principali di altre 50
aziende leader nella distruzione ambientale a fini produttivi e di sfruttamento
del suolo. Jeff Conant, senior manager del programma forestale internazionale
di Friends of the Earth e autore del report, non ha dubbi: “I dati e le cifre
parlano chiaro: dall’Amazzonia alle grandi foreste africane e del Sud-Est
asiatico, BlackRock è un leader globale nel finanziamento della deforestazione
e della distruzione ambientale. Fino a quando questo colosso finanziario
continuerà a sostenere incondizionatamente le aziende dell’agribusiness
mondiale più aggressive e distruttive, le foreste del pianeta e conseguentemente
i cambiamenti climatici e le popolazioni che vivono quei luoghi, continueranno
ad andare a fuoco. BlackRock sta letteralmente mietendo profitti degli incendi
delle giungle di tutto il mondo”. Questo grafico:
contenuto nel report mostra in effetti come
gli investimenti del colosso Usa in aziende con interessi nella deforestazione
a fini di sfruttamento siano cresciuti negli ultimi cinque anni: nel quarto
trimestre del 2014 il controvalore di partecipazioni era pari a circa 1
miliardo di dollari, mentre alla fine del quarto trimestre dello scorso hanno
era salito a 1,6 miliardi. Un balzo che, si fa notare, ha avuto una sospetta
contemporaneità temporale con la campagna elettorale in Brasile e la vittoria
di Jair Bolsonaro, dichiaratamente al fianco di latifondisti senza scrupoli e
multinazionali. Al centro della denuncia del report, gli index funds utilizzati
da BlackRock, visto che nel 2014 le detenzioni legate a deforestation-linked
commodity erano veicolate attraverso quegli strumenti per l’80%, mentre nel
2018 la percentuale era salita al 94%. E questa fattispecie operativa
rappresenta anche la “giustificazione” che BlackRock adduce, sottolineando come
quel tipo di investimenti leghi le mani a ogni discrezionalità.
Non la pensa così Moira Birss, direttrice
della campagna finanziaria di Amazon Watch, a detta della quale
“l’argomentazione di BlackRock è sbagliata e pretestuosa. Potrebbe infatti
seguire l’esempio di altri manager di assets globali e cambiare il proprio
modello di business per il bene delle foreste, del clima e dei suoi stessi
clienti, semplicemente eliminando gli investimenti verso aziende che stanno
devastando il pianeta e applicando così la massima pressione sulle stesse,
affinché cambino il loro comportmento e business model”. E ancora: “Gli incendi
che stanno devastando l’Amazzonia dimostrano chiaramente il rischio che
l’espansione dell’agribusiness pone per l’ambiente, per le popolazioni indigene
e per il clima in generale. Espandendo i propri investimenti in aziende che
sono complici di questa distruzione, BlackRock sta incoraggiando il presidente
Jair Bolsonato a proseguire la sua opera di devastazione dell’Amazzonia in nome
del profitto”.
E per non lasciare l’intera argomentazione
a volteggiare nell’empireo dell’idealismo, si fa notare come il Fondo pensione
del governo norvegese abbia vietato ai propri veicoli di investimento di
acquistare indici di BlackRock che abbiano al loro interno aziende legate
all’opera di deforestazione o sfruttamento ambientale. Lo stesso passo è stato compiuto dal
California Public Employees’ Retirement System, il quale ha segnalato
statutariamente quelle aziende come serious investment risk. Insomma, peggio di
una doppia B di Moody’s. Dal canto suo, BlackRock finora non avrebbe affatto
utilizzato la moral suasion potenziale dei suoi investimenti per obbligare quelle aziende a un cambio di modello
operativo. Anche perché, come mostra questo altro grafico:
gli investimenti di BlackRock – soprattutto
in America Latina – riguardano aziende i cui core business spaziano dalla
cellulosa alla pasta e olio di palma fino alla gomma, al legname e agli
allevamenti di bovini: nel solo campo del Pulp and Paper, gli investimenti di
BlackRock sono passati dai 103 milioni di dollari del 2014 ai 565 del 2018, un
bel +548%. Il tutto, in un periodo che a partire dal 2016, ha visto approdare
alla Casa Bianca un fautore del negazionismo ambientale come Donald Trump e nei
principali governi dell’America Latina, Colombia e Brasile in testa, politici
dichiaratamente di destra, filo-statunitensi e business-friendly, spesso e
volentieri nell’accezione più deteriore e tristemente sudamericana del termine.
Insomma, nessun rimpianto. E stante il mandato statutario di BlackRock, la
quale in quanto banca d’affari ha come scopo il fare soldi per sé e i propri
clienti, nessun potrebbe dire nulla, perché se quel settore appare
profittevole, pare giusto investirci. Altrimenti lo faranno altri. O magari no.
La questione, poi, si complica ulteriormente, vista la pressoché ubiquità
dell’investment bank newyorchese nelle partecipazioni azionarie e nei fondi di
investimenti.
Insomma, senza una consapevolezza da
addetto ai lavori, è facile ritrovarsi nel doppio ruolo di indignato social per
gli incendi in Amazzonia e beneficiario dei servizi di BlackRock attraverso il
proprio piano di investimento o di pensione integrativa, ritenuto assolutamente
innocuo. E, anzi, ben remunerativo. Oppure di proprietario di un’automobile che
ha dentro di sé un po’ di BlackRock, come le autostrade che percorre o come il
conto corrente che abbiamo presso note banche italiane. Insomma, nessuno è innocente
in linea di principio, come recitava un adagio punk del 1977. Ma c’è un punto
che inchioda BlackRock, quantomeno a livello di coerenza: se si ritiene giusto
porre il profitto dinanzi a tutto, anche del destino di intere foreste e
popolazioni che le abitano, perché farsi promotore e millantare protagonismo di
una tavola rotonda globale per una svolta etica del capitalismo, come fatto non
più tardi di un mese fa? Come si dice in gergo, non si può essere incinta solo
un po’. Nemmeno se ci si chiama BlackRock.
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