Prima pagina
Pietro Fenoglio pedalava senza troppo
entusiasmo ma seguendo con disciplina il ritmo assegnato. Sobbalzò leggermente
quando si senti toccare la spalla. Era Bruna, la fisioterapista, e lui non si
era accorto del suo arrivo per via degli auricolari e della musica.
- L’ho spaventata, maresciallo?
- No, cioè sì. Insomma, mi ha sorpreso.
- Cosa ascolta oggi?
- Bach. Quando vengo qui ascolto sempre
Bach o Mozart. Li conosco meglio e non devo impegnarmi troppo a seguire i
passaggi, visto che sono già abbastanza impegnato a farmi torturare da voi.
Lei gli fece il suo solito sorriso
enigmatico. Fenoglio non era ancora riuscito a capire cosa significasse. A
momenti dava l’impressione di una totale presenza, una consapevolezza profonda
della situazione e dell’interlocutore; a momenti la sensazione di un allegro
distacco, di una distrazione gentile: un essere altrove, ma trattando con
cortesia chi era lì.
Quando Bruna sorrideva la cicatrice sulla
guancia si piegava a creare un effetto vezzoso e inatteso. Sembrava la ferita
di un’arma da taglio, pensò ancora una volta Fenoglio. Chissà come se l’era
procurata, o come gliel’avevano procurata. Non è il tipo di domanda che fai a
una signora, e in ogni caso pareva che quel segno così vistoso sul viso non
fosse un problema per lei. Bruna era una donna a suo modo bella, in
contraddizione con il nome era bionda, non magra, piena di sensualità vigorosa
e con un fondo di malinconia nello sguardo.
- Ancora dieci minuti e può andare, -
disse, dando un’occhiata al display della cyclette e annuendo soddisfatta. - E
fra due o tre settimane la liberiamo definitivamente. E’ contento?
Fenoglio si chiese come rispondere.
Ovviamente era contento che quella tortura giornaliera - da due a tre ore di
fisioterapia - cessasse. Però, già lo sapeva, le chiacchiere con Bruna erano
diventate un’abitudine e gli sarebbero mancate.
- Mi raccomando maresciallo, - riprese
Bruna, - usi sempre la stampella quando esce a fare una passeggiata. Non sia
imprudente.
Fenoglio indicò la gruccia che aveva lasciato
in terra.
- Non me ne separo mai: sono
ubbidientissimo, anche se davvero non credo serva più.
- Probabile. Ma per cautela è meglio usarla
ancora un poco. Può anche non appoggiarla, il solo fatto di averla è un aiuto
per l’equilibrio, fino a quando il recupero non è completo.
- Però siamo d’accordo che con l’arrivo del
nuovo mese la togliamo, vero?
- Vediamo come va. Se si comporta bene.
Comunque da domani non sarà più solo in questo orario. Avrà compagnia.
- Ah, sì? Chi viene? - chiese Fenoglio,
pensando con preoccupazione al precedente compagno di fisioterapia, un signore
depresso e con un odore corporale piuttosto intenso.
- Un ragazzo. Un bel ragazzo. Anche lui ha
fatto la protesi d’anca. Si è rotto tutto in un brutto incidente d’auto.
Fenoglio non riuscì a evitare un pensiero
spiacevole. Il ragazzo sarebbe stato a disagio con lui, come lui era stato a
disagio con il tizio della settimana prima, che gli era parso un vecchio
sebbene fosse più anziano solo di cinque o sei anni.
Avvertì in modo quasi doloroso il desiderio
di ritornare in caserma; avvertì l’assenza della routine che per decenni aveva
placato la sua angoscia. L’aveva placata e le aveva dato un senso.
Come diceva Al Pacino in quel film? Devo
tenermi la mia angoscia, devo proteggerla. Mi mantiene scattante. Qualcosa di
simile. Era una battuta che l’aveva sempre colpito, gli sembrava scritta
apposta per lui.
Ci sarebbe tornato, in caserma, al lavoro.
Ma non per molto. Per l’ennesima volta, e con sgomento, pensò che entro poco
più di un anno sarebbe andato in pensione.
- Giulio, si chiama. E’….interessante.
- Perché?
Bruna tirò fuori il sorriso e scosse le
spalle.
- Vedrà. Adesso vado. Ci sono due signore
che sono state operate tre giorni fa e oggi hanno la prima seduta di
fisioterapia, in stanza. Finisca la cyclette e ci vediamo domani.
Si girò e andò via senza aspettare il
saluto di risposta di Fenoglio. Lui fece ciao con la mano senza che nessuno
potesse vederlo.
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