da: Il Fatto Quotidiano
La direzione Pd dà la “fiducia”
all’Italicum. Gli oppositori non votano.
In maniche di camicia (bianca) e jeans
d’ordinanza, seduto al banco della presidenza, Matteo Renzi guarda lo
smartphone mentre la direzione Pd vota la “fiducia politica” all’Italicum. Non
solo non tradisce preoccupazione, ma neanche prende in considerazione le
reazioni e le richieste della minoranza del Pd: tant’è vero che si risparmia
pure la replica.
E’ un sì all’unanimità. La minoranza, come
annunciato, non vota. I sì sono120 su circa su circa 200 (si contano una
ventina d’assenze, tra cui Bersani e D’Alema). Il segretario-premier, dopo aver
annientato il dissenso in un intervento fiume di sfondamento, è già “oltre”:
come avversario vede praticamente solo Maurizio Landini.
“Anche tu sei diventato un soprammobile da
talk show”, gli dice (in diretta streaming nazionale), rimproverandogli di non
sapere cosa c’è nella legge di stabilità. “La coalizione sociale io non la
sottovaluto. Ma non rappresenta il futuro e neanche il passato della sinistra.
È un tentativo che sarà respinto dalla realtà”. È “una sfida” che “non mi
toglie il sonno”. Ma che evidentemente richiede una riflessione e non lo lascia
così indifferente. “Io non lascio la parola sinistra solo a chi la usa con più
frequenza”, dice Renzi. Partendo da questa
premessa lancia la “sua” coalizione
sociale: “Organizziamo tra luglio e settembre un grande dibattito pubblico, con
soggetti culturali ed educativi, sulla sinistra in Italia, in Europa e nel
mondo”. Strumento ne sarà la nuova Unità (in edicola da fine aprile). Ostenta
indifferenza, Renzi. Ma Landini è un elemento politico da tenere in
considerazione. Mentre Salvini ormai è più che derubricato (anche lui a
fenomeno televisivo) e Beppe Grillo da “spauracchio è diventato sciacallo”.
Questo, se è per l’opposizione esterna. Se è per quella interna, ieri il
segretario ci è andato giù pesante. Niente dibattito supplementare sulla legge
elettorale, niente ritocchi: Renzi vuole l’Italicum a fine maggio. E ieri ha
messo di fronte alla minoranza una serie di argomenti “scomodi”.
A partire dal ruolo avuto nella “defenestrazione”
di Letta: un voto compatto di tutto il Pd in direzione, con l’alibi sullo
sfondo della legge elettorale che non si riusciva a fare: “Non c’è stato
qualcuno che ha scelto di staccare la spina al governo precedente. Non riusciva
ad andare avanti sul percorso delle riforme. Questo ha stabilito la direzione
all’unanimità”. C’era “un blocco” che “veniva reso plastico, sublimato, sulla
legge elettorale”. E adesso allora: “Chiedo un voto per la dignità e la qualità
di questo governo”. Non fa passi indietro, Renzi, neanche sulla possibilità di
mettere la fiducia sull’Italicum: “Ne parleremo tra di noi. Permettetemi ora di
mettere la fiducia al nostro interno”. Stoccatina: “Fossi in voi rivendicherei
le mediazioni ottenute”. Conclusione: “Considero un clamoroso errore
riaprire la discussione al Senato, è un azzardo che ci espone a molti problemi,
non si spiega politicamente alla Camera, riapre un accordo di coalizione già
chiuso e, soprattutto dà il senso di una politica come un grandissimo gioco
dell’Oca”. Che lo sfondamento del premier abbia avuto effetto lo dicono i
balbettii e la faccia stravolta di Roberto Speranza. Che arriva a evocare le
proprie dimissioni da capogruppo a Montecitorio: sono sul piatto dalla prossima
riunione del gruppo dem alla Camera, che dovrebbe essere dopo Pasqua. Lo dicono
gli interventi di Cuperlo e Fassina, che richiamano il segretario a una
mediazione che non ha alcuna intenzione di mettere in atto. Come il tentativo
di rilancio di D’Attorre, che mentre definisce “ricatto inconcepibile” la
fiduicia sull’Italicum arriva a minacciare esplicitamente il percorso delle
riforme in Senato. La minoranza è tramortita: il non voto è una non decisione,
un problema rimandato. I renziani, invece, sono compatti, all’attacco. Il senatore
Andrea Marcucci la butta sul filosofico (“la minoranza non ha sempre la verità
in tasca”), Matteo Richetti reagisce a D’Attorre (“Non ci si può lamentare che
è in atto un ricatto sulla legge elettorale e poi dire che se non si cambia la
legge elettorale le riforme sono su un binario morto”,) Roberto Giachetti fa
uno show, ricordando tutti i cambi di posizione di quelli che oggi si vestono
da pasdaran (“Bersani dice che ‘il Mattarellum lo firmerebbe anche domani’. A
Bersani dico, l’avete avuta l’occasione di votare Mattarellum, e avete imposto
di votare contro”). Voto in direzione scontato. Futuro ipotetico. La parola
scissione per adesso è solo un fantasma. “Continueremo la battaglia in Aula. Ci
voteremo i nostri emendamenti”, dice D’Attorre. Ma finora, Renzi l’ha avuta
sempre vinta.
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