venerdì 6 marzo 2015

Alexander MacCall Smith: Le lacrime della giraffa /3



Non sono un uomo importante, io, iniziò il signor Badule. La mia famiglia è originaria di Lobatse. Mio padre ci ha lavorato per molti anni, come usciere del tribunale. Era al servizio degli inglesi, che gli hanno dato due medaglie, con sopra il ritratto della regina. Le portava tutti i giorni, anche dopo essere andato in pensione. Quando ha terminato il servizio, uno dei giudici gli ha regalato una zappa da usare nelle sue terre. Il giudice aveva fatto fare quella zappa nel laboratorio della prigione e i detenuti, seguendo le istruzioni del giudice, avevano impresso a fuoco sul manico di legno una scritta che diceva: «Usciere Badule di prima classe, ha lealmente servito sua maestà e poi la repubblica del Botswana per cinquant'anni. Servitore fedele e di provata fiducia, da parte del signor giudice Maclean, magistrato dell'Alta Corte del Botswana».
Quel giudice era una brava persona ed è stato molto gentile anche con me. Ha parlato con i padri della scuola cattolica e sono stato ammesso a studiare lì. Mi sono impegnato molto, e quando ho denunciato uno degli altri ragazzi perché aveva rubato la carne in cucina, mi hanno nominato vicecapoclasse.
Ho superato gli esami della scuola, ho preso il diploma e poi ho trovato lavoro
presso la Commissione per la carne. Anche lì mi sono molto impegnato e di nuovo ho denunciato quelli che rubavano la carne. Non lo facevo per essere promosso, ma perché sono uno a cui non piace la disonestà, in nessuna forma. Questa è una cosa che ho imparato da mio padre. Lavorando in tribunale, ha visto criminali di tutte le specie, compresi gli assassini. Li ha visti in tribunale che mentivano perché sapevano che ora dovevano scontare le loro malefatte. Li osservava quando i giudici li condannavano a morte e notava che certi omoni grandi e grossi che avevano picchiato e ucciso altre persone diventavano come bambini piccoli, erano terrorizzati e singhiozzavano e dicevano di essere pentiti per tutte quelle brutte azioni, che comunque negavano di avere commesso.
Dato il suo ambiente di lavoro, non c'è da meravigliarsi che mio padre abbia insegnato ai figli a essere onesti e a dire sempre la verità. Perciò non ho mai esitato a denunciare alla giustizia gli impiegati disonesti, e i miei datori di lavoro sono sempre stati molto soddisfatti.
«Lei ha impedito a quei malvagi di continuare a rubare la carne del Botswana» mi hanno detto, «noi non riusciamo a vedere con i nostri occhi tutto quello che combinano i nostri impiegati. I suoi occhi ci sono stati di grande aiuto.»
Non mi aspettavo una ricompensa, ma sono stato promosso. E nel mio lavoro, che si svolgeva negli uffici del quartier generale, ho trovato altre persone che rubavano la carne, sia pure in un modo più astuto e indiretto, ma sempre di rubare carne si trattava. Perciò ho scritto una lettera al direttore generale, in cui gli dicevo: «Ecco come le rubano la carne, proprio sotto il suo naso, nell'ufficio centrale». Alla fine ci ho messo tutti i nomi, in ordine alfabetico, ho firmato la lettera e l'ho spedita.
Sono stati molto contenti e di conseguenza ho avuto un'altra promozione. Ormai, tutte le persone disoneste si erano spaventate al punto da andarsene dalla ditta, e perciò non avevo più niente da fare in quel campo. Ma me la sono cavata bene lo stesso e ho risparmiato abbastanza da comprarmi una macelleria tutta mia. La ditta mi ha dato un assegno molto generoso, lamentando la mia decisione di andarmene, e io ho aperto una macelleria alla periferia di Gaborone. Forse l'ha vista, è sulla strada per Lobatse. Si chiama macelleria Prezzi Onesti.

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