da: la Repubblica
Sul dono esiste una ricca letteratura
(specie psicoanalitica). Ma a prescindere da quella basta il buon senso per
capire che doni troppo impegnativi rischiano — appunto — di impegnare troppo.
Questo fa parte del gioco nelle relazioni sentimentali; ma non va bene nella
vita politica e nelle relazioni d’affari, dove non è mai chiaro dove finisce la
gentilezza e dove cominciano i secondi fini. Stupisce, nelle fiorenti cronache
giudiziarie sui casi di malapolitica, scoprire quanto frequente e quanto
ingenua (nella migliore delle ipotesi) sia l’abitudine di accettare doni
costosi senza rendersi conto che questi potrebbero diventare prove a carico; e
che è comunque sconveniente incamerarli con disinvoltura.
La signora Blair, nel suo libro di memorie,
racconta con quanta fatica, e quanto inutilmente, provò a spiegare a Berlusconi
perché non poteva, per regola protocollare, accettare il dono di grande valore
che l’allora capo del governo voleva assolutamente rifilarle. Il grande attore
siculo-americano Vincent Schiavelli raccontava (ed era un gran pezzo di teatro)
la storia, autentica, della restituzione di un vestito inviato a Nixon da un
sarto siciliano, e a lui riconsegnato, mesi dopo, con un biglietto di
ringraziamento della Casa Bianca nel quale si spiegava che per regolamento il
Presidente non poteva accettare
quel dono. Al di là delle implicazioni
giudiziarie, spesso controverse, è del tutto incontrovertibile capire che se si
ricopre una carica pubblica non si è nelle condizioni etiche e direi “tecniche”
di accettare doni. E non la gallina da brodo portata dal contadino al dottore;
ma fior di vacanze, viaggi e alberghi. Che qualcuno, un giorno, o rivendicherà
o ti rinfaccerà.
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