da: Il Fatto Quotidiano
Ci risiamo. La sentenza della Cassazione che conferma quella d’appello e assolve definitivamente B. nel processo
Ruby dalle accuse di concussione e prostituzione minorile ha scatenato il solito diluvio di cazzate,
riassumibili nei titoli degli house organ al seguito: “Il bunga-bunga era una
bufala” (Il Giornale), “Silvio assolto, ora chi paga?” (Libero), “Un assurdo
processo politico” (Il Foglio). Non si accontentano che il padrone l’abbia
fatta franca grazie alla legge Severino, o Sederino visto che glielo
restituisce bello lindo, roseo e levigato come il culetto di un bambino (la
frode fiscale è già passata in cavalleria). Non accendono un cero a Santa
Paola. Pretendono pure di farci passare tutti per fessi, forse perché cercano
compagnia. Incredibilmente si associa al coro una persona solitamente seria
come Michele Emiliano, ex pm, ex sindaco di Bari, ora leader Pd in Puglia e
candidato a governatore, che invita addirittura la Boccassini a “scusarsi con
B.”. Roba da matti.
1) Chi
paga? Se la domanda riguarda i costi dell’indagine, quella della Procura di
Milano sul gigantesco sistema prostitutivo nella villa di Arcore, accertato e
confermato dalle condanne in primo grado e in appello per Mora, Minetti e Fede
nel processo Ruby-bis, è costata meno di qualunque altra su fatti simili: 65
mila
euro (di cui 26 mila per le intercettazioni, come scrive Luigi Ferrarella
sul Corriere). Se invece la domanda riguarda il prezzo pagato da B. in termini
di discredito (per lui e per l’Italia governata da lui) e di voti persi, chi è
causa del suo mal pianga se stesso: se B. non si fosse riempito la casa di
mignotte, di cui alcune minorenni, e se poi non avesse telefonato in Questura,
abusando del suo potere, per far rilasciare Ruby nelle mani della Minetti e
della “collega” Michelle Conceicao per evitare che parlasse, non sarebbe mai
stato processato.
2) Assurdo
processo politico? Uno dei due reati contestati, la prostituzione minorile,
è frutto di due leggi fatte dalle sue ministre Prestigiacomo e Carfagna per
inasprire le pene contro gli sporcaccioni che vanno con le ragazzine. I pm,
scoperta la presenza di almeno una minorenne ad Arcore, erano obbligati ad
applicarla. Idem per il reato di concussione. Il 27-5-2010, quando B. chiamò il
capo di gabinetto della Questura di Milano, Piero Ostuni, l’articolo 317 del
Codice penale puniva da 4 a 12 anni “il pubblico ufficiale… che, abusando della
sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere
indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro o altra utilità”.
È proprio quel che fece il premier B. Che,
da pubblico ufficiale, costrinse o indusse Ostuni a dargli indebitamente
l’utilità di rilasciare subito Ruby, fermata per furto, contro il parere del pm
minorile e contro la prassi ordinaria, prima che parlasse dei festini di
Arcore. Quindi quella telefonata era reato (concussione per costrizione o per
induzione) quando fu fatta, quando la Procura aprì l’indagine, quando B. fu
rinviato a giudizio e quando iniziò il processo. Poi, il 6 novembre 2012, il
Parlamento di cui B. era il leader di maggioranza nel governo Monti approvò la
legge Severino che spacchettava la concussione: quella per costrizione
(violenza o minaccia) restava tale e quale; quella per induzione diventava un
reato minore (induzione a dare o promettere denaro o altra utilità), con pene
più basse e prescrizione più breve, ma soprattutto impossibile da dimostrare,
perché richiede non solo un “indebito vantaggio” per l’induttore (l’ex
concussore, cioè B.), ma anche per l’indotto (l’ex concusso, allora vittima e
ora complice nel nuovo delitto, cioè Ostuni). Il vantaggio per B. è noto: se
Ruby fosse rimasta in Questura quella notte, avrebbe potuto svelare ciò che i
pm scoprirono qualche mese dopo. Il vantaggio per Ostuni è nullo: ha obbedito
al premier per servilismo, piaggeria, quieto vivere. Quindi ciò che prima era
reato, ora non lo è più. Il Tribunale aggirò l’ostacolo condannando B. per
concussione per costrizione: per i primi giudici, la pressione esercitata dal
premier su Ostuni era irresistibile. La Corte d’appello, confermati l’altroieri
dalla Cassazione, ha invece considerato quelle telefonate resistibili, dunque
rientranti nel nuovo reato di induzione. E qui hanno dovuto assolvere B.:
perché, nonostante il pacifico “abuso della sua qualifica per scopi personali”,
Ostuni non ricavò dal suo cedimento alcun vantaggio indebito. È sparito il
reato, per legge: ma i fatti restano.
3) A
Sallusti che titola “Il bunga-bunga era una bufala” ha già risposto l’avvocato Franco Coppi, difensore
di B.: “Nemmeno noi contestiamo che ad Arcore avvenissero fatti di
prostituzione compensati, anche per Ruby”. Quindi, di grazia, di che
dovrebbe scusarsi la Boccassini? Di aver applicato la legge senza prevedere che
gliel’avrebbero cambiata sotto il naso col voto determinante dell’imputato e
dei suoi cari? O di aver sospettato che B. sapesse che Ruby era minorenne?
Fermo restando che, in mancanza di prove schiaccianti, è anche legittimo
pensare il contrario, resta insuperata e insuperabile una domanda: visto che
l’istituto dell’affidamento è riservato ai minori, perché mai B. si scomodò dal
vertice internazionale di Parigi a telefonare in Questura per far affidare Ruby
alla Minetti, se pensava che Ruby fosse maggiorenne? Ciò detto,
massima solidarietà ai servi di B., costretti a sostenere qualunque balla e a
passare per fessi pur di conservare il posto e lo stipendio, finché dura.
“Ognuno – diceva Totò – ha fa laccia che ha, ma qualche volta si esagera”.
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