Nessuno
si salva da solo: va in scena l’amore sporcato dall’odio
di Nadine
Solano
L’Italia è il Paese delle commedie, e
ultimamente le commedie italiane stanno riprendendo quota: magari si farà
ritorno al grande prestigio di un tempo, chissà. Però si sente la mancanza del
dramma. Sono pochi a raccontare storie dure, crude, dense, doloranti e al
contempo palpitanti. Uno di questi “pochi” è Sergio Castellitto, che traduce in
copioni e poi immagini le opere della sua donna Margaret Mazzantini, scrittrice
dal talento ruvido quanto innegabile. Oggi, 5 marzo, arriva nelle sale Nessuno
si salva da solo: film diretto da lui e ispirato a un libro di lei. Incontro di
anime e teste. I protagonisti sono Delia e Gaetano, interpretati
rispettivamente da Jasmine Trinca e Riccardo Scamarcio. Che un tempo s’amavano
tanto, con passione. Che si sono sposati, hanno fatto due figli. Che parevano
anime gemelle nonostante l’estrazione sociale opporta: lei di famiglia ricca,
lui di famiglia modesta e arrabbiata.
Solo che a un certo punto tutto è finito, anzi
tutto si è trasformato in un grumo di rabbia, frustrazione, in un continuo
rinfacciare e puntare il dito contro l’altro. Si sono separati, Delia e
Gaetano, ma i contatti devono esserci per il bene dei bambini. Allora
s’incontrano in un ristorante, a cena. E quello che dovrebbe essere un
confronto fra genitori, quasi formale, presto diventa un fiume di emozioni e un
viaggio nel passato alla ricerca dei perché. Nel bene e nel male. I flashback
spiegano allo spettatore cos’è stato, com’è andata, e si alternano alle
inquadrature relative al presente, agli sguardi che all’inizio sono freddi e
poi man mano lasciano trasparire una fiamma che in fondo ancora non s’è spenta.
Un sentimento che non si può reprimere tanto facilmente.
Protagonisti, Trinca e Scamarcio, in tutti
i sensi. La scena è tutta per loro. Non ci sono praticamente altre figure su
cui fissare lo sguardo, gli ambienti passano in secondo piano, è quasi come se
il mondo esterno nemmeno ci fosse. Parlano. Parlano tanto. Troppo, per qualcuno.
Ma il cinema di Castellitto è questo, un’analisi verbale e pochi virtuosismi,
lo scavo anche se fa male, la potenza della gestualità e zero fronzoli. Un
cinema non per tutti, certo. Un cinema non leggero ma che, invece, mira allo
stomaco. Vuole stringerlo. Vuole spremere viscere e cuore. Il regista resta
dunque fedele a se stesso e al sodalizio con la Mazzantini, che nelle sue
pagine riesce a essere anche più dura e diretta.
La rabbia derivante dal fallimento di
quest’unione viene espressa quasi con isteria, forse perché brucia e scotta la
pelle. Eppure qualche brandello di speranza ancora c’è, resta solo da capire se
possa dar vita a un nuovo tessuto caldo e compatto. Ma c’è la crisi con cui
fare i conti. Che avvelena, che minaccia di togliere voglia e fantasia, che
amplifica tutto. Quanti possono riconoscersi in questa storia? Tanti. Ed è
questa la forza più grande del film.
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