lunedì 16 marzo 2015

La coalizione sociale di Landini: si parte dal Jobs Act

E’ ancora presto, per quanto mi riguarda, per fare considerazioni in merito alla ‘coalizione sociale’, che potrebbe essere qualcosa che non esiste e che necessità nel paese reale, o la solita cosuccia che se anche parte concettualmente bene si perde in men che non si dica (imparare dagli aspetti positivi e dalle negatività delle aggregazioni disomogenee come il M5S è cosa buona e …salutare). Sull’argomento, ci si ripiglia.


da: Corriere della Sera

La coalizione di Landini sfida Renzi. Prima mossa: i referendum sui diritti
La strategia del leader spiegata nell’incontro (a porte chiuse). Si parte dal Jobs act
di Lorenzo Salvia

«Loro hanno già deciso lo schema, il sindacalista che si presenta alle elezioni perché ha i voti. Anzi, hanno deciso pure quali calzini e quali mutande dobbiamo metterci. Ecco: questo è il modo migliore per evitare che nasca qualcosa capace di mettere in discussione le politiche del governo». Maurizio Landini scandirà pure le parole, come ogni sindacalista (e politico) che si rispetti. Ma
stavolta la voce del segretario della Fiom si sente appena. È che bisogna appostarsi dietro la cancellata, tendere le orecchie, approfittare di una finestra lasciata aperta nella sala laggiù al seminterrato. Insomma, origliare.

Avevano detto che sarebbe stato a porte chiuse il primo appuntamento della coalizione sociale, la «vasta alleanza» di movimenti per costruire un’alternativa al governo Renzi. E, finestra a parte, sono di parola. Gli uomini con il felpone rosso e la scritta Fiom vigilano sull’ingresso della sede di corso Trieste. Quando comincia a piovere si muovono a pietà e fanno entrare i giornalisti nell’androne. Ma se qualcuno chiede di andare al bagno lo accompagnano fin sull’uscio e poi aspettano. Non si sa mai. Giù nella sala, Landini arriva alle conclusioni, dopo cinque ore di interventi divisi tra una ottantina di associazioni, da Arci a Libertà e Giustizia, passando per Emergency, dove le parole ricorrenti sono «mutuo soccorso» e «narrazione»: «Dobbiamo batterci — dice il segretario dei metalmeccanici Cgil — per creare un consenso nella testa delle persone e non farci trascinare sul terreno di una politica intesa come lobby, come proprietà privata».
Poi, quando ripete a favore di telecamera, sceglie un tono altrettanto netto ma un po’ più ecumenico. Parla di «discussione inclusiva», dice che «vogliamo unire tutto ciò che il governo sta dividendo». Aggiunge che «bisogna rinnovare il sindacato contro chi lo vuole cancellare» e torna a smentire l’idea di voler fondare un partito: «Non conosco questa parola. Chiedetelo a Speranza (capogruppo Pd alla Camera, ndr ), è lui che fa politica. Noi facciamo sindacato». Ma la risposta gli arriverà più tardi dal vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerrini: «Si conferma che l’opposizione di questi mesi era più politica che sindacale».



L’avversario di Landini non tanto è la sinistra Pd, e nemmeno quella indefinita galassia a sinistra del partito. Per ora i suoi sforzi si concentrano proprio sul governo e i renziani: «Vorrei ricordare — scandisce e stavolta si sente bene — che siamo di fronte a una novità assoluta: non era mai successo che il governo cancellasse dei diritti senza un confronto con i sindacati e le persone interessate». Il punto è proprio questo. Perché la coalizione sociale proseguirà i suoi lavori con il solito metodo dei tavoli per arrivare ad una proposta sui singoli temi, dalla scuola all’ambiente. Ma il cuore di tutto è il lavoro: «È il tema più trasversale, perché riguarda tutti e perché non si parla solo di regole, di decreti e di Jobs act , ma della vita delle persone. La qualità del lavoro è la condizione per gli altri diritti di cittadinanza». La raccolta di firme per il referendum abrogativo sul Jobs act non solo è una certezza. Ma potrebbe diventare la prima di una serie che toccherebbe altri temi. Fare politica ma fuori dal Parlamento. Non a caso tra le associazioni invitate ci sono anche i promotori del referendum (vinto e archiviato) sull’acqua pubblica. «È chiaro che se nelle Camere nessuno ci ascolta quella è una strada», chiarisce Landini.

Anche per questo le porte restano chiuse a chi ha incarichi politici. Anche per i parlamentari ex Movimento 5 stelle: nella sede di Fiom si presentano Laura Bencini, Maria Mussini e Maurizio Romani. Ma dopo meno di due ore lasciano la sala, invitati ad uscire proprio per rispettare il «divieto». Quelli di Sel, che tanto volevano esserci, evitano di farsi vedere. Si affaccia qualche ex, come Alfonso Gianni, un passato in Rifondazione. Ma è solo un attimo. Almeno in prima linea Landini non vuole la vecchia sinistra Arcobaleno. Anche se sociale, coalizione fa sempre rima con rottamazione.

1 commento:

  1. attilio cece16/03/15, 14:12

    vero che è presto, troppo presto!, per esprimere opinioni sul movimento cui il leader della FIOM vuole dare vita ma io non ho dubbi sull'onestà morale ed intellettuale di Landini e, sin da ora, sono dalla sua parte.

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