martedì 24 marzo 2015

Intercettazioni, Fabrizio d’Esposito: “Il governo degli indagati ora vuole il bavaglio”



da: Il Fatto Quotidiano

L’etica renziana assomiglia sempre più a quella berlusconiana. Una morale elastica a seconda dei casi. Sarà un frutto postumo del patto del Nazareno. Dice il premier in un’intervista a Repubblica: “Le dimissioni si danno per una motivazione politica o morale, non per un avviso di garanzia. Le condanne si fanno nei tribunali, non sui giornali: è un principio di decenza”. Così, Lupi (non indagato) via, ma non Barracciu, Del Basso De Caro, De Filippo e Faraone, tutti del Pd. Anche Alfano la pensa allo stesso modo: “Non abbiamo mai chiesto le dimissioni dei sottosegretari indagati”.

A questo punto, come metodo, il caso Lupi ricorda quello di Claudio Scajola, che si dimise dal governo Berlusconi nel maggio del 2010 per la famosa casa al Colosseo acquistatagli dalla cricca a sua insaputa.
Anche Scajola non era indagato, in un governo presieduto da un plurinquisito e che vedeva, per esempio, un ministro sotto processo (Fitto, poi condannato). Dal suo blog persino Beppe Grillo, leader del Movimento 5 Stelle, dà ragione al ministro dimissionario di Ncd: “Nessuno ha particolare simpatia per Lupi, ma è stato cacciato senza avvisi di garanzia. ‘Gesto saggio’ mentre gli scarrafoni piddini rimangono al loro posto. Del resto il loro partito è una fogna, quale posto migliore?”.

Allo stesso tempo, la difesa intransigente dei magnifici quattro indagati incrocia un nuovo fronte trasversale per imbavagliare le intercettazioni. Renziani, alfaniani, berlusconiani, finanche bersaniani della minoranza Pd. Il riassunto delle posizioni lo fa Alessandro Pagano di Ncd: “Sull’abuso mediatico delle intercettazioni serve presto una riforma, bisogna accelerare. Lo dice Bersani, lo dice Speranza, lo ha detto pochi giorni fa la Serracchiani, lo dice da sempre il Nuovo Centrodestra”. Pagano fa parte della commissione Giustizia alla Camera e ha presentato un emendamento che delega al governo “l’introduzione di misure dirette a garantire la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazioni”. Il testo del deputato di Ncd si trova nelle modifiche avanzate alla proposta di legge in materia di diffamazione di Enrico Costa, suo compagno di partito.
Il Pd gli ha risposto un mezzo no che in realtà, nella sostanza, è un sì completo. Nel senso che i renziani vogliono nuove norme sulle intercettazioni nell’ambito della riforma del processo penale, quella governativa presentata dal Guardasigilli Andrea Orlando, leader dei giovani turchi diversamente renziani. L’obiettivo, dicono dal Pd, è di “evitare lo sputtanamento di quelli che non c’entrano ma vengono solo citati e tirati in ballo da terzi”. Il nodo sarà sciolto nelle prossime settimane in commissione Giustizia e il testo arriverà nell’aula di Montecitorio a fine maggio. La nuova disciplina delle intercettazioni potrebbe essere formata da una delega al governo oppure da un preciso articolato con dentro, per esempio, l’udienza filtro per stabilire cosa va tenuto e cosa va buttato, proprio per tutelare i terzi. Dice David Ermini, responsabile della giustizia per il Pd: “È inutile andare a reprimere bisogna prevenire tenendo presente il diritto di cronaca, quello alla riservatezza e quello della difesa. Dovremo trovare un bilanciamento. Noi abbiamo detto no a Ncd nell’ambito della legge sulla diffamazione perché il contenitore giusto è quello del riforma del processo penale”.
Ieri anche Renato Schifani, sempre di Ncd, e Mariastella Gelmini hanno invocato il bavaglio alle intercettazioni. Quest’ultima, ha notato con favore che pure la sinistra radicale del Pd si è scossa da “una certa sudditanza al giustizialismo ipnotico”.

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