da: La Stampa
Franco Alfieri è il sindaco di Agropoli e
desidera candidarsi alle elezioni regionali campane nelle liste del suo
partito, il Pd. Ma una legge locale impedisce ai sindaci di farlo, decretando
in caso contrario il commissariamento del Comune. Il sindaco non ha alcuna
intenzione di cedere la poltrona a un funzionario statale su cui non
eserciterebbe alcun controllo: vuole tenerla in caldo per il suo vice. Perciò
lascia l’auto in sosta vietata. Il vigile gli fa la multa e lui si rifiuta di
pagarla, impugnandola davanti all’amministrazione comunale, cioè a se stesso.
Si realizza così la fattispecie prevista dal D.Lgs.18-8-2000 n.267, in base al
quale l’amministratore che apre un contenzioso con il proprio ente decade
dall’incarico e viene sostituito dal suo vice.
Può darsi che la legge proibizionista
disinnescata dalla furbata del sindaco di Agropoli sia una schifezza. Ma è
comunque una legge e come tale andrebbe rispettata almeno da chi è tenuto a
dare il buon esempio. Mentre il sindaco non solo se ne è infischiato, della
norma. Si è vantato in pubblico di avere trovato un sistema per fregarla.
Altrove questa operazione alla Totò gli sarebbe costata l’isolamento politico e
il disprezzo degli elettori. Invece qui gli è valsa il plauso di maggioranza e
opposizione, e un balzo ulteriore nei sondaggi. Non saprei
trovare aneddoto
migliore per illustrare l’eterno e insolubile «caso italiano». A determinare il
carattere di un Paese non sono le regole, ma il consenso sociale che le
circonda. E da noi quel consenso non sta certo con chi fa la legge. Semmai con
chi trova l’inganno.
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