da: Il Fatto Quotidiano
Spunti per il copione di una sceneggiata
napoletana. Nel 2012 un partito, il Pd,
incalzato da un movimento, i 5Stelle, si batte come un sol uomo per
approvare una legge, la Severino, che estende finalmente ai parlamentari le norme sulla sospensione, la
decadenza e l’ineleggibilità già in vigore per gli amministratori locali
arrestati e/o condannati per reati gravi. Il partito degli arrestati e dei
condannati, Pdl, tenta di opporsi ma non è aria e alla fine subisce. La legge
passa, ma con un codicillo: per sospendere gli amministratori locali basta la
condanna in primo grado, per i parlamentari invece no. C’è solo la decadenza e
l’ineleggibilità dopo la condanna definitiva, per giunta sopra i 2 anni. Sotto
i 2 anni fa niente, anzi: averne, di pregiudicati.
Dopo vari
amministratori locali semisconosciuti, il primo utilizzatore finale famoso
della legge è il senatore B., 4 anni per frode: decaduto e ineleggibile.
Tutto bene. Il secondo è il sindaco De
Magistris: 1 anno e 3 mesi per un abuso d’ufficio demenziale (tabulati
telefonici di parlamentari usati senz’autorizzazione, peraltro prima che
potesse sapere che erano di parlamentari e che richiedevano l’autorizzazione),
per giunta commesso non da sindaco, ma da pm: il Pd gli intima giustamente di
dimettersi, lui resiste, il prefetto lo sospende, il Tar e il Consiglio di Stato lo reintegrano.
Il terzo è il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca: ha più processi che capelli in testa, con una collezione di
imputazioni da Guinness; uno finisce male con la condanna a 1 anno per un abuso d’ufficio commesso da sindaco. Il
Tribunale sposa la tesi del pm, secondo cui De Luca nominò il suo capo staff Di
Lorenzo a project manager del “termovalorizzatore” di Salerno al posto di un
altro: scelta“ illegale, dannosa, inutile e illecita”, tantopiù che “Di Lorenzo
non aveva neppure i titoli” e la spesa per stipendiarlo fu uno sperpero di
denaro pubblico. Solita trafila: il prefetto sospende De Luca, il Tar lo
reintegra in via cautelare, in attesa della pronuncia della Consulta sulla
Severino.
Stavolta, essendo De Luca del Pd e renziano, il Pd renziano non gli ordina di andarsene, come dovrebbe avendo
voluto e votato la Severino. Anzi tace e acconsente
alla sua candidatura alle primarie per il governatore della Campania: carica da cui, se eletto, decadrebbe un
secondo dopo essersi seduto in poltrona. Ma un deputato suo fedelissimo, tal Fulvio Bonavitacola, ha già
presentato una legge ad De Lucam per
togliere dalle cause di decadenza un reato a caso. Indovinate quale? L’abuso
d’ufficio, of course.
Che passa per una quisquilia, un incidente
professionale per pubblici amministratori, un’afflizioncella quasi
obbligatoria. Invece, dopo la riforma del 1996, è un delitto grave: quello di
chi abusa della carica pubblica per danneggiare un nemico o favorire
patrimonialmente un amico: e di solito nasconde un tornaconto, cioè una
mazzetta.
Se la Severino, fatta apposta per tutelare
la Pubblica amministrazione da chi ne approfitta per i suoi porci comodi, non
includesse l’abuso d’ufficio, tanto varrebbe raderla al suolo. Come se la Chiesa tollerasse i preti che bestemmiano
e, nei ritagli di tempo, fanno le messe nere con l’ostia consacrata. Ma, si
sa: i reati degli amici sono sempre meno reati di quelli altrui. De Luca punta
il dito contro la disparità di trattamento fra parlamentari e amministratori
locali: e avrebbe ragione, se non fosse che vuole abbassare l’asticella dei
secondi al livello dei primi, non certo alzare quella dei primi al livello dei
secondi. L’idea che un condannato non debba amministrare denaro pubblico non
sfiora nessuno.
Renzi, per non saper né leggere né
scrivere, fa sapere che il governo la Severino non la tocca. Però la Boschi aggiunge che, se vuole toccarla il Parlamento, chi è il
governo per impedirglielo? Ma che
carina, ma che graziosa sensibilità istituzionale. Diciamolo pure: ma che
sceneggiata. Bersani invece, da bravo oppositore interno, la Severino la
vuole cambiare senza se e senza ma: del resto chi era il segretario del Pd che
fortissimamente la volle? Bersani.
Un tempo si diceva: fatta la legge, trovato l’imbroglio. Ora è l’inverso: fatto
l’imbroglio, cambiata la legge. Pare quasi che la colpa dell’inguacchio sia
della legge e del Parlamento che non la cambia due anni dopo averla approvata
all’unanimità, anziché del Pd che non ha neppure la forza di escludere dalle
proprie primarie – dove le regole le stabilisce il partito – un condannato in
primo grado.
È lo stesso partito che, già sotto Renzi, aveva
escluso dalle primarie in Sardegna Francesca Barracciu, “soltanto” indagata per
peculato, salvo poi risarcirla con un sottosegretariato. Ora, anziché scegliere
una volta per tutte fra il primato della legge (regola cardine dello Stato
liberale di diritto) e il primato della politica (che non esiste), i presunti
rottamatori pensavano di risolvere la cosa candidando contro il renziano De
Luca il neorenziano Gennaro Migliore (che non voterebbero neppure i parenti
stretti, infatti si ritira) e il bassoliniano Andrea Cozzolino. Che, a furia di
elettori cinesi, aveva già mandato in vacca le primarie per il Comune: meritava
un’altra chance anche per la regione. Ma è andata male: non basterebbe tutta
l’Asia a scalfire il sistema De Luca.
Comunque non tutte le primarie vengono per
nuocere: quelle in Campania hanno definitivamente chiarito il significato di
“rottamazione”. Cittadini, siccome siamo democratici, la scelta spetta a voi:
volete Barabba o Barabba?
Nessun commento:
Posta un commento