da: Il Fatto Quotidiano
Terremoto, i sindaci senza un euro: “Costretti a
chiedere soldi alle banche”
Fino a oggi, 44 giorni dopo la prima scossa, sono
arrivate soltanto carte da firmare. "I lavoratori vanno pagati, le fatture
anche e non ci resta che chiedere anticipazioni di cassa". Milioni di euro
tra solidarietà e fondo della Protezione civile bloccati dalla burocrazia
di Annalisa Dall’Oca e Giulia Zaccariello
Finora ci sono
solo fatture su fatture da saldare. E richieste di prestiti con i relativi interessi.
Di soldi liquidi, a 44 giorni dalla prima scossa, i sindaci dei tanti paesi
emiliani messi in ginocchio dal terremoto, ne hanno visti ben pochi. Per
toccare con mano le donazioni private infatti bisognerà aspettare mesi. Almeno
due solo per quanto riguarda gli oltre 15 milioni di euro raccolti attraverso
i messaggi sms solidali. Così come sarà necessario attendere ancora delle
settimane per poter attingere ai 50 milioni del Fondo nazionale della
protezione civile. Intanto però i fornitori battono cassa e così come i
dipendenti comunali, che da più di un mese lavorano senza sosta, sabato e
domenica compresi. Così ai comuni non resta altra soluzione che rivolgersi alle
banche.
“I lavoratori
vanno pagati – mette in chiaro il sindaco di Novi di Modena, Luisa Turci -. E
senza entrate sono obbligata a chiedere anticipazioni di cassa. Certo, non sono
a costo zero. Ma è l’unico modo per ottenere liquidità immediata”. Per ora,
infatti, i paesi colpiti dal sisma hanno potuto usufruire solo delle donazioni
spontanee versate sui singoli conti correnti, aperti ad
hoc dalle amministrazioni comunali all’indomani del terremoto del 20
maggio. Come spiega Rudi Accorsi, amministratore del piccolo comune
modenese di San Possidonio:
“Fino a oggi abbiamo ricevuto solo i 52 mila euro
versati sul nostro conto. Ma ne servirebbero molti altri per rimettere in piedi
la città”. Per riavviare l’economia, ripristinare il tessuto abitativo e
recuperare il patrimonio artistico “non bastano i 140 mila euro donati alla
nostra città – aggiunge il sindaco di San Felice sul Panaro, Alberto
Silvestri – servono risposte dal governo. Le spese sono enormi, ci sono
tutti gli interventi di messa in sicurezza, di puntellatura, di sgombero
macerie. La lista è infinita”. Insomma, ritornare alla normalità ha un costo
che i comuni da soli non riescono a sostenere.
Entro una
settimana, fanno sapere dalla Protezione civile, la Regione dovrebbe ricevere
la prima tranche, pari a 10 milioni, del Fondo nazionale del dipartimento,
messo a disposizione subito dopo il primo terremoto. Briciole se si considera
che solo il comune di Finale Emilia ha già investito circa 3,3 milioni di
euro per i progetti di ricostruzione. “E ancora non sappiamo se ci
verranno rimborsati completamente o solo in parte – sottolinea il sindaco Fernando
Ferioli – Per pagare stiamo accumulando debiti”. Cavezzo, tra pasti,
servizi igienici, interventi strutturali agli edifici e messa in sicurezza del
centro storico ha già sborsato oltre 500 mila euro. Cifra simile a quella spesa
da San Possidonio e da San Felice sul Panaro.
E mentre le
fatture da saldare si moltiplicano, i soldi raccolti dalla macchina della
solidarietà rischiano di rimanere intrappolati in un labirinto
burocratico che diluisce i tempi di mesi. Prima di tradurre le migliaia di
sms solidali in moneta sonante, per esempio, passeranno almeno 60 giorni. Il
tempo necessario alle compagnie telefoniche per le verifiche sulla
solvibilità degli abbonati. In altre parole, i gestori dovranno controllare le
bollette dei clienti che hanno partecipato alla raccolta, assicurandosi, tra le
altre cose, che i messaggi non siano stati inviati da telefoni aziendali. Solo
una volta terminata questa operazione, gli operatori potranno trasferire la
somma al Fondo per la protezione civile. Che a sua volta, facendo da
intermediario, la farà arrivare alle regioni colpite dal sisma, ossia Emilia
Romagna, Lombardia e Veneto.
Queste ultime non
gestiranno solo le donazioni arrivate tramite il cellulare, ma l’intera somma
raccolta dai diversi enti e associazioni. In assenza di una legge che obblighi
a dichiarare preventivamente la destinazione specifica delle offerte, spetterà
infatti ai presidenti delle tre regioni l’ultima parola sull’utilizzo di questi
soldi.
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