Prima di morire, dovreste regalarvi un giorno di primavera a Pizzofalcone.
L’ideale sarebbe il primo, perché gustereste per intero il passaggio di testimone dall’inverno; l’attimo in cui l’aria acquista una vena di dolcezza, un retrogusto appena percettibile di altri profumi, e qualche suono che ancora non c’era e adesso giunge alle orecchie tese all’ascolto.
Ma è impossibile da prevedere, la primavera non manda gioiose partecipazioni della propria venuta per posta o con un messaggio in chat, corredato di fiorellini e note musicali che facciano pensare a una marcetta allegra. E la gente nemmeno se ne accorge, presa com’è a combattere la quotidiana battaglia per la sopravvivenza, perché si sa, Pizzofalcone è un posto articolato e sedimentario dove a pochi metri da chi naviga in un’immeritata ricchezza ci sono quelli che devono trovare il modo, qualsiasi modo, di dare da mangiare ai figli, e di arrivare vivi e vegeti all’indomani nella giungla urbana in cui il quartiere è incastonato come una pacchiana e mal tagliata pietra preziosa.
Non potrete individuare il primo giorno di primavera, è chiaro. Quindi è difficile che il nuovo vento giri e vi colga pronti ad apprezzarne i contenuti sensoriali che, senza motivo, vi disporranno al buonumore, perché ci si potrà disfare delle coperte e non si guarderà più con fastidio e preoccupazione agli spifferi penetrati dalla finestra che non chiude bene, o con frammenti di odio a chi esce lasciando la porta aperta. Perché tra non molto, sapete, l’aria inaspettata che giunge sotto forma di corrente non sarà più una minaccia alla salute, ma un lieve stimolo a uscire e a guardare il mondo in faccia.
La
primavera a Pizzo falcone, per l’impossibilità di essere colta nel lieto giorno
della sua rinascita, andrà dunque gustata nel suo corso. Non nelle prime ore
forse, però di certo in quelle successive: quando avrà assunto il fascino della
consapevolezza, avrà perso le incertezze e si proporrà florida e bella come una
giovane donna abituata ai complimenti, che si finge disturbata da occhiate e
mormorii e fischi dei ragazzi ma che soffrirebbe a non riscuoterne più, e
quindi cammina baldanzosa e veloce, gli splendidi seni e le lunghe gambe a
muoversi seguendo una danza muta ma udibile come una fanfara.
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