da: Il Fatto Quotidiano
Il 23 febbraio 2012, mentre la Grecia era al collasso e il mondo
intero versava in una crisi globale, Mario
Draghi dichiarò al Wall Street Journal: “Quel che si profila in Grecia è un nuovo
mondo che abolirà il vecchio regime e ci libererà dei sepolcri imbiancati.
All’esterno paiono belli ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni
marciume. Lo stato sociale è morto”. Lo stato sociale era quello inaugurato nel
1945 dal governo laburista inglese e impostato tre anni prima dal sociologo
William Beveridge, secondo cui “il welfare aiuta a liberare la società da
quattro mostri: bisogno, malattia, ignoranza e squallore”.
Da
quel momento in poi la sinistra ha coinciso soprattutto con la socialdemocrazia
e la destra con il neoliberismo; la sinistra ha messo al primo posto lo Stato e
la riduzione delle disuguaglianze attraverso l’equa distribuzione della
ricchezza per sconfiggere quei quattro mostri; la destra ha privilegiato il
mercato e ha puntato sulla concorrenza per creare quanta più ricchezza possibile,
a prescindere dalla sua equa distribuzione e dal dilagare dei mostri.
Prima ancora che Draghi salisse al Quirinale, già il sito di Repubblica ha scritto: “Per gli investitori, Mr. Whatever it takes è la migliore opzione per governare l’Italia. Piazza Affari scatta fin dalle prime battute con le banche grandi protagoniste. Lo spread tra Btp e Bund cala vedendo la soglia psicologica di 100 punti base. Piazza Affari si conferma in rialzo oltre il 2% a metà mattina. Intesa Sanpaolo e Unicredit volano del 5 per cento”.
Il
welfare è stata la risposta socialdemocratica, cioè riformista e umanitaria,
alle sfide della società industriale, alle rivendicazioni sindacali, alle
istanze religiose, alla lotta di classe, alle spinte rivoluzionarie. È stato il
massimo che il capitalismo ha potuto consentirsi per mostrare un volto umano
pur restando capitalismo. Ma è stato il minimo che il socialismo ha potuto
ottenere per restare socialismo nei paesi capitalisti.
I
socialdemocratici ritengono che ogni cittadino, per il semplice fatto di essere
stato messo al mondo senza la sua volontà, abbia il diritto di sopravvivere
decorosamente anche se non è produttivo perché minore, vecchio o inabile; i
neoliberisti, sulla scia di Laffer e Kuznets, ritengono prioritario consentire
ai ricchi di arricchirsi: prima o poi la loro ricchezza sgocciolerà ad
alleviare i poveri.
In
Italia abbiamo avuto un’eloquente cartina al tornasole (il reddito di
cittadinanza) per capire a primo colpo se un nostro interlocutore è
neoliberista o socialdemocratico. Matteo Renzi, il cattolico boy scout, è
sempre stato contrario all’articolo 18 destinato ai proletari e al reddito di
cittadinanza destinato ai sottoproletari, mentre ha accarezzato la classe media
con 80 euro e ha dichiarato di trovarsi a suo agio con Marchionne, che
guadagnava 1037 volte più dell’operaio della Fiat, piuttosto che con la Camusso
che guadagnava quanto un metalmeccanico.
Il
2 febbraio 2021 l’ultimo governo larvatamente socialdemocratico ha ceduto il
passo al primo governo compiutamente neoliberista. La pandemia, che nelle mani
di Beveridge avrebbe portato al governo i laburisti, nelle mani di Conte e
Zingaretti ha portato al governo il centro-destra. Il tripudio dei giornali
della Fiat ha subito accompagnato quest’esito a lungo corteggiato e
accortamente preparato.
Chapeau a
Renzi, stratega neo-dadà che prima ha tentato di portare a destra tutto il Pd
senza riuscirci; poi si è illuso di attrarre la destra in un partito tutto suo,
facendo flop; ora è riuscito a riunire sotto la bandiera di Draghi una destra
meno becera di quella salviniana, di cui lui detiene il brevetto.
Nel
campo avverso restano i cocci di due formazioni politiche frastornate dalle
imboscate di Renzi, disorientate dalla mancanza di un modello di società da
proporre al Paese, fiaccate dalla carenza di cultura politica e tecnologica. Un
Pd che non sa cosa sia il postmoderno e un Movimento 5 Stelle che non sa chi
sia Gramsci. Entrambi incapaci di agire secondo i ritmi e i bisogni di una
società ormai postindustriale e di comunicare bene persino le poche cose buone
che siano riusciti ad abbozzare.
Quando, fra qualche giorno, potremo leggere il Recovery plan di Draghi, comparandolo con quello di Gualtieri avremo la misura metrico decimale, palpabile, della virata verso il neoliberismo in versione squisitamente bancaria. Chi sognava ingenuamente che dall’azione congiunta di Pd e 5Stelle potesse nascere la prima socialdemocrazia del Mediterraneo, può mettersi l’anima in pace e prepararsi a una lunghissima marcia per formare una classe dirigente di sinistra mentre i poveri, aumentati nel numero e peggiorati nella condizione, avranno imparato a distinguere tra chi li ama e chi li odia.
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