da: Domani - di Marco Grieco
“Ora
è il momento della saggezza nella scelta del futuro che vogliamo costruire”.
Era
il 18 agosto 2020 e, aprendo il 40° Meeting di Rimini, il presidente incaricato
Mario Draghi tracciava le linee programmatiche di quella che, in questi giorni,
è diventata la sua missione: formare un governo. Conciso nelle parole così come
nelle azioni, Draghi deve parte della sua formazione ai gesuiti. All’istituto
Massimo, severa scuola romana, ha avuto come mentore il gesuita Franco Rozzi,
il filosofo della sintesi, come lo definiscono gli ex alunni. L’ex presidente
della Banca centrale europea sarà anche espressione di quell’approccio
ignaziano che pure i gesuiti romani hanno recentemente rimarcato?
Uomo profondamente laico nel servire le istituzioni, Draghi appartiene allo stesso filone cattolico e democratico del presidente della repubblica, Sergio Mattarella. Al cortile di Santa Marta c’è chi apprezza l’estrazione cattolica dell’ex governatore di Bankitalia: su questo solco va collocata la nomina a membro della Pontificia accademia delle scienze sociali lo scorso luglio. Un anno prima, erano stati nuovamente i gesuiti a portare in auge Draghi, dedicandogli su La Civiltà Cattolica un lungo approfondimento dal sapore di endorsement: «Mario Draghi è stato protagonista di una delle fasi più complesse della storia recente d’Europa.
Il
suo servizio come presidente della Banca centrale europea è stato decisivo per
salvare l’Unione economica e monetaria, e grazie al suo contributo si presenta
oggi la straordinaria opportunità di completarla», ha scritto il gesuita Guido
Ruta, ricercatore presso la New York University. Nel 2016, Draghi era in prima
fila nella sala regia del palazzo Apostolico quando papa Francesco riceveva il
premio Carlo Magno, auspicando una giovinezza dell’Europa. Qualche tempo dopo, l’allora
presidente della Bce si ricollegò così a quell’appello davanti agli studenti e
professori dell’università Cattolica a Milano: «Il futuro della società dipende
dal sentire il bene pubblico da parte dei giovani migliori e dall’impegno che
profondono nel raggiungerlo», sottolineò.
Ma
se i gesuiti vicini a Francesco parteggiano per Draghi, cosa rimane del sostegno
di parte del mondo cattolico, vescovi italiani compresi, al premier uscente,
Giuseppe Conte? Nelle scorse settimane era stata la stessa Cei a richiamare ai
“costruttori” evocati dal presidente Mattarella, quando sembrava necessario
puntellare Conte ed evitare, così, un trauma istituzionale per il paese.
Eppure, scemando la garanzia istituzionale, anche l’appoggio dei vescovi è
venuto meno, alimentando chi nella Cei non era poi così soddisfatto di Conte.
Le operazioni estive del ministro del Conte II, Roberto Speranza, sulla pillola
abortiva, per esempio, hanno alimentato il dissenso a tal punto che i buoni
rapporti del premier uscente con la curia, nati nel cuore di Villa Nazareth,
sono andati via via sfumando.
Ma
l’eclissi di Conte non dirada la prudenza di alcuni presuli nei riguardi del nascente Draghi. Fonti in Vaticano spiegano
che si dovrà attendere la maggioranza politica per capire l’indice di
gradimento del potenziale neo governo. La cautela d’Oltretevere ricalca quella
manifestata nel 1993 con Carlo Azeglio Ciampi: anch’egli chiamato alla
costruzione di un governo del presidente, l’ex governatore di Bankitalia era
espressione di un cattolicesimo non expressis verbis, seppure non ostile alla
Santa sede: «Una fede semplice, non gridata, e tuttavia salda e praticata con
discrezione e rispetto – è stata come un filo rosso che ha legato e ispirato
tutti i suoi giorni perché li spendesse (…) per servire il bene comune del
paese», ricordò mons Vincenzo Paglia alle esequie di Ciampi nel 2016. Il suo
profilo coincide con quello di Draghi, suo successore a palazzo Koch. Il
cattolicesimo di Draghi non è ostentato, sebbene in tanti abbiano rimarcato una
comunanza di istanze fra Draghi e la Santa sede, ben prima dell’avvento di
Francesco. Draghi ha espresso grande apprezzamento per la Caritas in veritate
di Benedetto XVI, l’enciclica uscita nel 2009 agli albori di una delle peggiori
crisi finanziarie mondiali.
La prudenza non è mai troppa
Fatta eccezione per i gesuiti de La Civiltà Cattolica, al momento a Oltretevere sono in pochi ad esporsi sull’attuale limbo politico-istituzionale. Taluni invitano alla prudenza: come potrebbe leggere Draghi le inquietudini economiche e sociali dei nostri tempi? La sua politica meno assistenzialista e più produttiva sarà in sintonia con il trinomio tierra, techo y trabajo di papa Francesco, tanto quanto la sua richiesta di un salario universale per i lavoratori più umili, spesso evocato? «In molti casi i policymaker devono agire consapevoli che le conseguenze delle loro decisioni sono incerte, ma convinti che l’inazione porterebbe a conseguenze peggiori e al tradimento del loro mandato», ricordava Draghi agli studenti della Cattolica. Tanto in lui quanto in Bergoglio, speranza e ricostruzione sono parole pragmatiche, che richiedono un agire comune: per questi cambiamenti, servono discernimento e ponderazione. L’ex presidente della Bce deve ancora dimostrarlo, anche se le sue premesse sembrano una garanzia.
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