da Lettera 43
Ucraina,
i cinque veti dell'Europa alle misure Usa contro la Russia
Gas.
Finanza. Benzina. Accordi economici. Ed Export. Perché Bruxelles non può varare
sanzioni contro Putin.
di Barbara
Ciolli
Gli Stati Uniti staccano la spina alla
cooperazione militare con la Russia e studiano imminenti sanzioni economiche.
L'Unione europea fa la voce grossa a
Bruxelles e negli scranni dell'Onu, ma poi sulle decisioni drastiche prevale la
cautela per i grandi interessi strategici ed economici.
Nella sua campagna d'Ucraina, lo zar
Vladimir Putin ha perso con gli Usa e vinto con il Vecchio Continente, come è
sempre avvenuto nella storia e come il presidente russo si aspettava, facendo
leva sul suo ricatto energetico e sul peso dei rubli negli investimenti e nei
contratti firmati in Europa.
IL DILEMMA TEDESCO. Il Nord, Germania in
primis, dipende in toto dalle forniture di gas del colosso Gazprom e, per
ragioni geografiche, il legame non può che restare inalterato nei prossimi
decenni: al di là dello sfogo su Putin con il presidente americano Barack
Obama, la cancelliera tedesca Angela Merkel
non ha infatti annullato l'agenda
di incontri del suo governo con il Cremlino, neanche durante l'escalation delle
tensioni in Crimea.
Il Sud dell'Europa, che in prospettiva
potrebbe sganciarsi dalle condutture che attraversano l'Ucraina per
approvvigionarsi di petrolio e gas dalle pipeline del Mediterraneo, ha invece
bisogno degli investimenti russi per iniettare liquidità nelle casse vuote
statali.
ANCHE LONDRA ESITA. Non a caso, l'ex
premier Enrico Letta non ha boicottato l'Olimpiade di Sochi 2014 e la Farnesina
si è allineata con Berlino nel sospendere l'organizzazione del G8 in Russia, ma
non nell'escludere Mosca dal summit.
In Francia, Bernard-Henri Lévy sprona
l'Europa a difendere il popolo della Maidan, ma, a ben guardare, il presidente
François Hollande anziché il filosofo ha mandato avanti Frau Merkel, invitando
Putin alla «transizione pacifica».
Neppure gli inglesi, altrimenti
interventisti, se la sentono di sfidare la grande madre Russia, allontanando
gli oligarchi dalle banche della City londinese, tanto che Londra s'è schierata
contro le sanzioni a Mosca.
Di seguito, i cinque freni dell'Europa a
una nuova campagna di Russia.
1.
La Germania dipende dalle forniture del gas di Gazprom
Al telefono con Obama, Merkel si è lasciata
andare e ha detto: «Putin ha perso il contatto con la realtà. Vive in un altro
mondo».
Ma è sulla triangolazione della cancelliera
con Mosca e con gli Euromaidan di Kiev che l'Ue spera di riportare la stabilità
in Ucraina. A questo punto, anche a costo di procedere a una spartizione
territoriale con il Cremlino.
IL DOPPIO BINARIO TEDESCO. Nonostante la
netta condanna «all'intervento inaccettabile in Crimea, in violazione dei diritti
dei cittadini ucraini», il governo tedesco si è speso per la sospensione «solo
temporanea» della Russia dal G8.
Le consultazioni di aprile con il Cremlino
non sono state cancellate e neanche il viaggio del vicecancelliere Sigmar
Gabriel a Mosca.
In ballo ci sono le maxi forniture di gas e
petrolio, ma non solo. Tra i 28 Stati europei, la Germania è il Paese che
importa più energia dalla Russia: nel 2013, quasi il 35% del greggio acquistato
dall'estero e il 38,7% del gas: oltre un terzo del suo fabbisogno.
DALL'UCRAINA AL BALTICO. Poco conta che dal
2011 la cosiddetta Brotherhood, la pipeline dell'amicizia che corre
dall'Ucraina verso l'Europa, sia stata surclassata dal nuovo North Stream, che
collega direttamente Russia e Germania attraverso il Mar Baltico: i padroni
sono sempre i russi di Gazprom.
L'ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder
(Spd), al momento presidente del Consiglio di sorveglianza del consorzio North
Stream, ha invitato «al confronto all'interno del G8. È sbagliato gettare
benzina sul fuoco».
2.
L'Ucraina resta lo svincolo obbligatorio per le pipeline
Come la Germania, l'Italia ha assunto una
posizione mediana. D'altra parte, l'80% del gas che dalla Siberia arriva in
Europa passa dall'Ucraina.
Più che altro verso il Centro e il Sud
Europa, che, al contrario della Germania e dei Paesi nordici, riceve ancora il
suo flusso energetico dalle tre condutture del periodo sovietico (Western
Siberia Pipeline, Soyuz, Brotherhood) che passano dal Paese sull'orlo di una
guerra civile.
Iniettato nelle pipeline europee di
Transgas (dei tedeschi Rwe) e Tag (joint venture fra l'italiana Eni e
l'austriaca Omv), attraverso la Slovacchia e l'Austria il gas russo rifornisce
l'Italia e diversi Paesi dell'Europa centrale.
IL CANTIERE SOUTH STREAM. Al contrario del North
Stream, il South Stream in cantiere per aggirare l'Ucraina, che deve collegare
direttamente Ue e Russia (attraverso il Mar Nero, la Bulgaria e la Grecia fino
al Canale di Otranto), non è stato completato.
I partner Gazprom, Eni, i francesi di Edf e
i tedeschi di Wintershall hanno programmato il termine dei lavori e l'inizio
delle consegne per la fine del 2015. Anche in questo caso, i padroni del gas
restano pur sempre i russi. E fintanto, non prima del 2018, che il gasodotto
Tanap (ex Nabucco) dal Caucaso verso il Bosforo attraverso la Turchia resterà
lettera morta, gli Stati dell'Ue - Francia revanscista inclusa - non possono
affrancarsi dai russi di Gazprom.
ASPETTANDO IL SOUTH PARS. Tanto più che,
con la guerra in Siria e l'Iran schiacciato dalle sanzioni petrolifere, le vie
del maxi-giacimento di gas naturale del South Pars-North Dome nel Golfo
Persico, di proprietà a metà tra i rivali Qatar e Iran, per ragioni opposte
sono ancora precluse all'Europa.
Solo forniture minime dal Aatar arrivano
dal Nord Africa e via mare alla Spagna e risalendo Gibilterra, alla Gran
Bretagna e al Nord Europa. Senza progetti di partnership per nuove condutture
sul Mediterraneo e attraverso la Turchia, la Russia resterà ancora a lungo il
monopolista del gas in Europa.
3. L'Ue
rischia di ritrovarsi benzina e bollette alle stelle
In questo scenario, l'Ue teme il rincaro
generalizzato dei prezzi per la benzina e delle bollette energetiche,
soprattutto nei mesi invernali.
Nel 2006 e nel 2009 ci furono già crisi tra
l'Ucraina e la Russia per violazioni dei contratti sul gas, che fecero andare
in fibrillazione i prezzi delle forniture energetiche. Allora si trattò
soprattutto di speculazioni, a uso e consumo del ricatto di Putin verso i
creditori ucraini strozzati dalla madre Russia.
IL BAROMETRO DEL GAS. Ma stavolta la guerra
del gas, irrisolvibile nell'arco di pochi giorni, potrebbe avere conseguenze
più serie per l'Europa, perché lo scenario internazionale e finanziario è molto
più instabile.
La Primavera araba in Nord Africa e in
Medio Oriente e la crisi prolungata dell'euro hanno fatto schizzare i prezzi
del carburante alle stelle (benzina e diesel in Italia hanno raggiunto la media
di 1,793 e 1,712 euro al litro) in Europa. E i contribuenti di molti Stati,
allo stremo per le misure d'austerity, non potrebbero reggere nuovi rincari per
auto e bollette.
L'ALLARME BENZINA. I governi dell'Ue
ripetono di avere abbondanti forniture alternative dai Paesi del Golfo e
riserve proprie di gas a sufficienza.
Ma il crollo dei listini della Borsa, non
solo russa, per la crisi ucraina è una manna per gli speculatori dei mercati.
Bruxelles non può esasperare troppo i toni, avviando una nuova Guerra fredda
con Mosca.
4.
Investimenti e import-export a rischio con il crac della Russia
Al di là del gas, un nuovo default della
Russia, nel 2013 sull'orlo della recessione, è da evitare anche per tutelare
l'export europeo, altrimenti sempre più debole, verso i mercati asiatici e i
Paesi in via di sviluppo.
Per economie stroncate dalla crisi come
l'Italia, di fatto rimasta orfana di una spina dorsale industriale propria, la
cooperazione bilaterale con Mosca è vitale e i 28 accordi firmati, nel novembre
del 2013, nel vertice intergovernativo di Trieste, sono stati una boccata
d'ossigeno per l'esecutivo Letta.
IL BILATERALE A TRIESTE. «Con la presidenza
italiana dell'Ue nel secondo semestre del 2014, l'Italia intende rafforzare il
partenariato politico ed economico tra Europa e Russia», dichiarò l'allora
presidente del Consiglio al termine dell'incontro con Putin, «sono state
gettate le basi per crescita e nuovi posti di lavoro».
Al seguito di Letta, oltre al patron di Eni
Paolo Scaroni, c'era tutta la squadra di governo, pronti a valutare possibili
investimenti. Nell'ultimo decennio, superata la crisi degli Anni 90, i capitali
dei russi all'estero sono aumentati del 40%.
IL PROFUMO DEI RUBLI. Nel Sud Europa, gli
oligarchi in vacanza spendono milioni e, nei viaggi d'affari, acquistano grand
hotel e immobili, oltre che aziende del made in Italy come Gancia.
Ma anche nella ricca Germania gli
industriali temono il crollo dell'export (in calo verso la Russia nel 2013),
con un calo repentino del rublo e le oscillazioni di Gazprom.
5.
Londra non vuol perdere gli investimenti degli oligarchi
Da Londra, persino il governo più
atlantista d'Europa frena nel rincorrere gli Stati Uniti sulle sanzioni.
Misure di Bruxelles contro Putin
renderebbero offlimits ai russi la City finanziaria di Londra, seconda casa per
gli oligarchi a caccia di investimenti esentasse.
IL RAPPORTO INGLESE. Alla vigilia del
dibattito europeo, un documento riservato commissionato dal governo di David
Cameron avrebbe infatti messo in guardia da restrizioni sui rapporti
commerciali tra i due Paesi e, soprattutto, misure che chiudano ai russi
l'accesso al centro finanziario londinese.
Nel dossier, fotografato dai media
britannici sotto il braccio di un funzionario all'ingresso del numero 10 di
Downing Street, i tecnici avrebbero invitato a «scoraggiare discussioni su
eventuali preparazioni militari», probabilmente in sede Nato, limitandosi a
restrizioni per visti e viaggi nell'Ue.
TERREMOTO NEI BRICS. Finora Cameron ha
chiesto cautamente solo di «mandare un messaggio chiaro a Putin, con pressioni
diplomatiche, politiche ed economiche».
Indiscrezioni sui fogli britannici
conservatori parlano del «no del governo inglese a sanzioni, che potrebbero far
deragliare il cammino della ripresa economica globale».
Mettere in ginocchio la Russia
innescherebbe turbolenze nei mercati in espansione dei Brics (Brasile, Russia,
India, Cina e Sudafrica), acuendo la crisi in Europa.
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