mercoledì 5 marzo 2014

Russia-Ucraina: gli accordi economici che “frenano” la reazione europea

da Lettera 43

Ucraina, i cinque veti dell'Europa alle misure Usa contro la Russia
Gas. Finanza. Benzina. Accordi economici. Ed Export. Perché Bruxelles non può varare sanzioni contro Putin.
di Barbara Ciolli

Gli Stati Uniti staccano la spina alla cooperazione militare con la Russia e studiano imminenti sanzioni economiche.
L'Unione europea fa la voce grossa a Bruxelles e negli scranni dell'Onu, ma poi sulle decisioni drastiche prevale la cautela per i grandi interessi strategici ed economici.
Nella sua campagna d'Ucraina, lo zar Vladimir Putin ha perso con gli Usa e vinto con il Vecchio Continente, come è sempre avvenuto nella storia e come il presidente russo si aspettava, facendo leva sul suo ricatto energetico e sul peso dei rubli negli investimenti e nei contratti firmati in Europa.
IL DILEMMA TEDESCO. Il Nord, Germania in primis, dipende in toto dalle forniture di gas del colosso Gazprom e, per ragioni geografiche, il legame non può che restare inalterato nei prossimi decenni: al di là dello sfogo su Putin con il presidente americano Barack Obama, la cancelliera tedesca Angela Merkel
non ha infatti annullato l'agenda di incontri del suo governo con il Cremlino, neanche durante l'escalation delle tensioni in Crimea.
Il Sud dell'Europa, che in prospettiva potrebbe sganciarsi dalle condutture che attraversano l'Ucraina per approvvigionarsi di petrolio e gas dalle pipeline del Mediterraneo, ha invece bisogno degli investimenti russi per iniettare liquidità nelle casse vuote statali.
ANCHE LONDRA ESITA. Non a caso, l'ex premier Enrico Letta non ha boicottato l'Olimpiade di Sochi 2014 e la Farnesina si è allineata con Berlino nel sospendere l'organizzazione del G8 in Russia, ma non nell'escludere Mosca dal summit.
In Francia, Bernard-Henri Lévy sprona l'Europa a difendere il popolo della Maidan, ma, a ben guardare, il presidente François Hollande anziché il filosofo ha mandato avanti Frau Merkel, invitando Putin alla «transizione pacifica».
Neppure gli inglesi, altrimenti interventisti, se la sentono di sfidare la grande madre Russia, allontanando gli oligarchi dalle banche della City londinese, tanto che Londra s'è schierata contro le sanzioni a Mosca.
Di seguito, i cinque freni dell'Europa a una nuova campagna di Russia.

1. La Germania dipende dalle forniture del gas di Gazprom
Al telefono con Obama, Merkel si è lasciata andare e ha detto: «Putin ha perso il contatto con la realtà. Vive in un altro mondo».
Ma è sulla triangolazione della cancelliera con Mosca e con gli Euromaidan di Kiev che l'Ue spera di riportare la stabilità in Ucraina. A questo punto, anche a costo di procedere a una spartizione territoriale con il Cremlino.
IL DOPPIO BINARIO TEDESCO. Nonostante la netta condanna «all'intervento inaccettabile in Crimea, in violazione dei diritti dei cittadini ucraini», il governo tedesco si è speso per la sospensione «solo temporanea» della Russia dal G8.
Le consultazioni di aprile con il Cremlino non sono state cancellate e neanche il viaggio del vicecancelliere Sigmar Gabriel a Mosca.
In ballo ci sono le maxi forniture di gas e petrolio, ma non solo. Tra i 28 Stati europei, la Germania è il Paese che importa più energia dalla Russia: nel 2013, quasi il 35% del greggio acquistato dall'estero e il 38,7% del gas: oltre un terzo del suo fabbisogno.
DALL'UCRAINA AL BALTICO. Poco conta che dal 2011 la cosiddetta Brotherhood, la pipeline dell'amicizia che corre dall'Ucraina verso l'Europa, sia stata surclassata dal nuovo North Stream, che collega direttamente Russia e Germania attraverso il Mar Baltico: i padroni sono sempre i russi di Gazprom.
L'ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder (Spd), al momento presidente del Consiglio di sorveglianza del consorzio North Stream, ha invitato «al confronto all'interno del G8. È sbagliato gettare benzina sul fuoco».

2. L'Ucraina resta lo svincolo obbligatorio per le pipeline
Come la Germania, l'Italia ha assunto una posizione mediana. D'altra parte, l'80% del gas che dalla Siberia arriva in Europa passa dall'Ucraina.
Più che altro verso il Centro e il Sud Europa, che, al contrario della Germania e dei Paesi nordici, riceve ancora il suo flusso energetico dalle tre condutture del periodo sovietico (Western Siberia Pipeline, Soyuz, Brotherhood) che passano dal Paese sull'orlo di una guerra civile.
Iniettato nelle pipeline europee di Transgas (dei tedeschi Rwe) e Tag (joint venture fra l'italiana Eni e l'austriaca Omv), attraverso la Slovacchia e l'Austria il gas russo rifornisce l'Italia e diversi Paesi dell'Europa centrale.
IL CANTIERE SOUTH STREAM. Al contrario del North Stream, il South Stream in cantiere per aggirare l'Ucraina, che deve collegare direttamente Ue e Russia (attraverso il Mar Nero, la Bulgaria e la Grecia fino al Canale di Otranto), non è stato completato.
I partner Gazprom, Eni, i francesi di Edf e i tedeschi di Wintershall hanno programmato il termine dei lavori e l'inizio delle consegne per la fine del 2015. Anche in questo caso, i padroni del gas restano pur sempre i russi. E fintanto, non prima del 2018, che il gasodotto Tanap (ex Nabucco) dal Caucaso verso il Bosforo attraverso la Turchia resterà lettera morta, gli Stati dell'Ue - Francia revanscista inclusa - non possono affrancarsi dai russi di Gazprom.
ASPETTANDO IL SOUTH PARS. Tanto più che, con la guerra in Siria e l'Iran schiacciato dalle sanzioni petrolifere, le vie del maxi-giacimento di gas naturale del South Pars-North Dome nel Golfo Persico, di proprietà a metà tra i rivali Qatar e Iran, per ragioni opposte sono ancora precluse all'Europa.
Solo forniture minime dal Aatar arrivano dal Nord Africa e via mare alla Spagna e risalendo Gibilterra, alla Gran Bretagna e al Nord Europa. Senza progetti di partnership per nuove condutture sul Mediterraneo e attraverso la Turchia, la Russia resterà ancora a lungo il monopolista del gas in Europa.

3. L'Ue rischia di ritrovarsi benzina e bollette alle stelle
In questo scenario, l'Ue teme il rincaro generalizzato dei prezzi per la benzina e delle bollette energetiche, soprattutto nei mesi invernali.
Nel 2006 e nel 2009 ci furono già crisi tra l'Ucraina e la Russia per violazioni dei contratti sul gas, che fecero andare in fibrillazione i prezzi delle forniture energetiche. Allora si trattò soprattutto di speculazioni, a uso e consumo del ricatto di Putin verso i creditori ucraini strozzati dalla madre Russia.
IL BAROMETRO DEL GAS. Ma stavolta la guerra del gas, irrisolvibile nell'arco di pochi giorni, potrebbe avere conseguenze più serie per l'Europa, perché lo scenario internazionale e finanziario è molto più instabile.
La Primavera araba in Nord Africa e in Medio Oriente e la crisi prolungata dell'euro hanno fatto schizzare i prezzi del carburante alle stelle (benzina e diesel in Italia hanno raggiunto la media di 1,793 e 1,712 euro al litro) in Europa. E i contribuenti di molti Stati, allo stremo per le misure d'austerity, non potrebbero reggere nuovi rincari per auto e bollette.
L'ALLARME BENZINA. I governi dell'Ue ripetono di avere abbondanti forniture alternative dai Paesi del Golfo e riserve proprie di gas a sufficienza.
Ma il crollo dei listini della Borsa, non solo russa, per la crisi ucraina è una manna per gli speculatori dei mercati. Bruxelles non può esasperare troppo i toni, avviando una nuova Guerra fredda con Mosca.

4. Investimenti e import-export a rischio con il crac della Russia
Al di là del gas, un nuovo default della Russia, nel 2013 sull'orlo della recessione, è da evitare anche per tutelare l'export europeo, altrimenti sempre più debole, verso i mercati asiatici e i Paesi in via di sviluppo.
Per economie stroncate dalla crisi come l'Italia, di fatto rimasta orfana di una spina dorsale industriale propria, la cooperazione bilaterale con Mosca è vitale e i 28 accordi firmati, nel novembre del 2013, nel vertice intergovernativo di Trieste, sono stati una boccata d'ossigeno per l'esecutivo Letta.
IL BILATERALE A TRIESTE. «Con la presidenza italiana dell'Ue nel secondo semestre del 2014, l'Italia intende rafforzare il partenariato politico ed economico tra Europa e Russia», dichiarò l'allora presidente del Consiglio al termine dell'incontro con Putin, «sono state gettate le basi per crescita e nuovi posti di lavoro».
Al seguito di Letta, oltre al patron di Eni Paolo Scaroni, c'era tutta la squadra di governo, pronti a valutare possibili investimenti. Nell'ultimo decennio, superata la crisi degli Anni 90, i capitali dei russi all'estero sono aumentati del 40%.
IL PROFUMO DEI RUBLI. Nel Sud Europa, gli oligarchi in vacanza spendono milioni e, nei viaggi d'affari, acquistano grand hotel e immobili, oltre che aziende del made in Italy come Gancia.
Ma anche nella ricca Germania gli industriali temono il crollo dell'export (in calo verso la Russia nel 2013), con un calo repentino del rublo e le oscillazioni di Gazprom.

5. Londra non vuol perdere gli investimenti degli oligarchi
Da Londra, persino il governo più atlantista d'Europa frena nel rincorrere gli Stati Uniti sulle sanzioni.
Misure di Bruxelles contro Putin renderebbero offlimits ai russi la City finanziaria di Londra, seconda casa per gli oligarchi a caccia di investimenti esentasse.
IL RAPPORTO INGLESE. Alla vigilia del dibattito europeo, un documento riservato commissionato dal governo di David Cameron avrebbe infatti messo in guardia da restrizioni sui rapporti commerciali tra i due Paesi e, soprattutto, misure che chiudano ai russi l'accesso al centro finanziario londinese.
Nel dossier, fotografato dai media britannici sotto il braccio di un funzionario all'ingresso del numero 10 di Downing Street, i tecnici avrebbero invitato a «scoraggiare discussioni su eventuali preparazioni militari», probabilmente in sede Nato, limitandosi a restrizioni per visti e viaggi nell'Ue.
TERREMOTO NEI BRICS. Finora Cameron ha chiesto cautamente solo di «mandare un messaggio chiaro a Putin, con pressioni diplomatiche, politiche ed economiche».
Indiscrezioni sui fogli britannici conservatori parlano del «no del governo inglese a sanzioni, che potrebbero far deragliare il cammino della ripresa economica globale».

Mettere in ginocchio la Russia innescherebbe turbolenze nei mercati in espansione dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), acuendo la crisi in Europa.

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