giovedì 13 marzo 2014

Riforma fiscale: serve un riordino complessivo dei tributi

da: la Repubblica

Riforma fiscale, una e per sempre
di Stefano Micossi

Il Governo ha indicato tra i suoi obiettivi prioritari quello della riforma fiscale, una scelta certamente apprezzabile. Sarebbe un peccato se l’esigenza di muovere in fretta con i primi interventi facesse perdere di vista quella di avviare, con l’occasione, un riordino complessivo del sistema dei tributi, dopo oltre un decennio di interventi convulsi dettati dall’emergenza finanziaria, che hanno reso il sistema opaco, orribilmente complicato, distorsivo e imprevedibile.

Per non perdere la strada, si deve guardare agli obiettivi: l’economia e la società italiana hanno bisogno di un sistema tributario semplice, trasparente, prevedibile, che riequilibri i carichi, spostandoli dalle persone alle cose e alleggerendo l’impresa e il lavoro; di un sistema neutrale, non distorsivo negli effetti economici, che privilegi il risparmio e l’investimento.
Più che a redistribuire, occorre puntare a facilitare la creazione di nuovo reddito; per l’Irpef è più importante allargare la base imponibile che rafforzare
la progressività, già fin troppo ripida (l’aliquota sul primo scaglione è del 23 per cento, sopra i 75.000 euro del 43). L’aumento del gettito deve venire dalla crescita, invece che da una tassazione sempre più oppressiva sui redditi medi e medio-alti. Non c’è scampo: deve crescere il gettito dell’Iva e devono diminuire le imposte dirette sull’impresa e sul lavoro. Per l’Iva, si tratta di ridurre (gradualmente) il sistema a due sole aliquote (dell’11 e del 22 per cento); occorrerà prevedere, per i redditi più bassi, forme di compensazione erogate direttamente dall’Inps o corrisposte attraverso un’imposta negativa sul reddito (che può assumere anche valenza più generale).

C’è poi un lavoro di disboscamento delle cosiddette tax expenditures, che nel nostro paese hanno raggiunto valori enormi, e dei sussidi alle imprese. A fronte di questi aumenti di prelievo, è urgente ridurre il cuneo fiscale, direi più tagliando permanentemente i contributi sociali che l’Irap (che è una minimum tax creata principalmente in sostituzione dei contributi sanitari: se si vuol cancellare l’Irap, si deve trasferire sulle famiglie un peso maggiore per il finanziamento della sanità). Fondi significativi, oltre al maggior prelievo dell’Iva, devono venire dalla spending review, che il nuovo governo sembra voler fare sul serio. Per sgravare anche il lavoro, si deve rendere permanente l’aliquota ridotta sugli incrementi salariali legati ad accordi aziendali che migliorano la produttività, ampliandone gli ammontari di applicazione. Le aliquote speciali introdotte negli ultimi anni per banche, assicurazioni e aziende petrolifere dovrebbero essere eliminate, magari prima che lo faccia la Corte costituzionale. I frutti del capitale dovrebbero essere tassati con aliquota uniforme e definitiva, da applicarsi agli interessi a qualunque titolo percepiti (titoli di stato inclusi), come agli affitti (non è buona l’idea che circola di abbassare selettivamente l’aliquota sostitutiva per speciali categorie, il trasferimento del beneficio agli affittuari sarebbe incerto). L’aliquota dovrebbe convergere con quella Ires sui redditi d’impresa, direi intorno al 23 per cento, per quelle esigenze di neutralità cui facevo riferimento. Per i dividendi e gli utili distribuiti, si dovrà riflettere sull’opportunità di ampliarne la quota detassata, perché la somma del prelievo sugli utili d’impresa e sul dividendo è troppo elevata e scoraggia l’investimento. L’aumento della tassazione sui titoli di stato sarebbe ininfluente sui rendimenti, dato il basso livello cui questi oggi si collocano.

La semplificazione del sistema richiede anche di intervenire con decisione su deduzioni, detrazioni e crediti d’imposta, che potrebbero essere fissati in un plafond unico, per le famiglie (in cifra fissa, senza sotto categorie) come per le imprese (in percentuale del fatturato, in relazione ai soli obiettivi di capitalizzazione e spese di ricerca e innovazione). Le deduzioni per gli ammortamenti dovrebbero essere quelle appostate nel bilancio civilistico, così come già fatto per l’Irap. Ci sono poi gli interventi già previsti dalla legge delega per ridare certezza al rapporto tributario (in particolare dando confini definiti al cosiddetto abuso di diritto) e riportare a ragionevolezza il sistema sanzionatorio, largamente fondato sull’applicazione di sanzioni penali anche in assenza di frode, laddove la contestazione superi determinate soglie quantitative (identificate in valore assoluto, indipendentemente dalle dimensioni e dalla redditività dell’impresa). Le degenerazioni di questi istituti, peraltro, hanno una causa ben identificata: la pratica di attribuire all’agenzia delle entrate obiettivi di gettito, che ha condotto a continui e discutibili adattamenti delle interpretazioni applicative. Infine, per fare tutto questo bisognerà pur trovare un metodo di decisione parlamentare diverso dal negoziato in commissione bilancio su singole misure, con i lobbisti scatenati fuori dalla porta.

Serve una delega con pochi chiari principi, quindi i decreti delegati a pacchetto chiuso. Con l’impegno, poi, a una prolungata tregua normativa, che escluda tra l’altro la possibilità di rimettere mano al sistema tributario ad ogni legge di stabilità.

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