da: la Repubblica
L'analisi.
Da Tangentopoli in poi, e per un infinito ventennio di malaffare, non solo si è
fatto assai poco. Ma quel poco che si è fatto lo si è fatto male
Cos'altro deve succedere, per convincere la
politica a muovere un passo concreto, tangibile e inequivocabile, contro la
corruzione che torna a minare le basi della convivenza civile e della
concorrenza economica? Quante altre retate devono accadere, per spingere il
governo e il Parlamento a ripristinare con un atto definitivo, responsabile ed
efficace, il principio di legalità di cui in questi anni di fango hanno fatto
strame tutti, ministri e sottosegretari, amministratori centrali e cacicchi
locali?
Domande tutt'altro che oziose (o capziose), di fronte all'acqua lurida che tracima dal Mose, dove proprio la politica si è definitivamente messa "a libro paga", esigendo quello che i magistrati chiamano "lo stipendio di corruzione".
Da Tangentopoli e Mani Pulite in poi, e per un infinito ventennio di malaffare pubblico e privato, non solo si è fatto assai poco. Ma quel poco che si è fatto lo si è fatto assai male. Grandi proclami, piccoli compromessi. Leggi-feticcio, da
dare in pasto al popolo bue. E poi appalti in deroga a volontà, per lucrare
fondi neri. Non solo in epoca berlusconiana, che sappiamo straordinariamente
nefasta sul piano etico. Anche in tempi più recenti, che speravamo finalmente
proficui sul piano della ricostruzione morale e della legislazione penale.
Così non è stato. Così non è ancora. E al presidente del Consiglio Renzi, che
meritoriamente dichiara di voler "cambiare verso" all'Italia anche
dal punto di vista della giustizia e che opportunamente si accinge a dare più
poteri al commissario anti-corruzione Cantone, non è inutile ricordare quanto è
accaduto e quanto sta ancora accadendo. Al di là degli annunci, che pure
servono a scuotere la coscienza di un Paese disabituato al meglio e assuefatto
al peggio, ma che da soli non bastano a consolidare nell'opinione pubblica la
percezione di un vero cambiamento. Da troppo tempo - interrotti solo dai blitz
dei pm sulle infinite cricche tricolori, dal terremoto dell'Aquila al G8 della
Maddalena, dai mondiali di nuoto al sacco di Carige, dall'Expo milanese al Mose
veneziano - abbiamo ascoltato alti lai e asciugato lacrime di coccodrillo. Ma
nulla è cambiato, nei codici e nelle norme di contrasto. C'è come l'accidiosa
consapevolezza che la corruzione, con i suoi 60 e passa miliardi di
"fatturato" l'anno, rappresenti una parte essenziale e forse
irrinunciabile del Pil nazionale. Così l'establishment, politico ed economico,
celebra a ogni nuovo arresto la Grande Ipocrisia. Interviste sdegnate, riunioni
d'emergenza. Poi più nulla. O leggi fatte male, a volte col legittimo sospetto
che le si vogliano esattamente così, per convenienza bipartisan.
La legge Severino occasione mancata
Non parliamo, stavolta, dei misfatti
compiuti da Berlusconi premier. Sono tristemente noti. Diamo dunque per
acquisite le 12 leggi ad personam azzardate dall'ex Cavaliere sulla giustizia.
La colossale occasione, miseramente mancata, è stata la legge Severino,
approvata dal governo Monti nel novembre 2012. Insieme a qualcosa di buono (le
nuove norme sulla decadenza e l'incandidabilità, che costano allo stesso
Berlusconi condannato il seggio al Senato) la legge "spacchetta"
inopinatamente il reato di concussione, riducendo i reati (e dunque i tempi di
prescrizione) per l'ipotesi meno grave (ma infinitamente più frequente)
dell'"induzione". L'anomalia viene segnalata dai magistrati, rilevata
dal "Sole 24 Ore" e da "Repubblica", che ne chiede conto al
ministro Guardasigilli consegnandole 250 mila firme raccolte a favore di una
"seria legge contro la corruzione". Ma non c'è niente da fare. La
legge passa così com'è, con la benedizione trasversalissima delle appena nate
Larghe Intese: "tecnici" montiani, Pd e Pdl votano compatti, alla
Camera: 480 favorevoli, solo 19 contrari, il Parlamento approva.
Di lì nascono tutti i guai successivi. Berlusconi userà i benefici derivanti dal caos normativo innescato dalla legge Severino nel processo Ruby. La stessa cosa farà Filippo Panati nel processo Falck. Un caos che nel frattempo viene autorevolmente certificato. A febbraio di quest'anno tocca alla Ue, nel suo rapporto sulla corruzione, evidenziare la lunga "serie di problemi irrisolti" lasciati dalla legge Severino (prescrizione, falso in bilancio, autoriciclaggio, voto di scambio) e stigmatizzare "gli effetti della frammentazione del reato di concussione". Il 15 marzo tocca invece alla Corte di Cassazione denunciare per sentenza i danni causati da quella legge all'esercizio della giurisdizione, e chiedere a governo e Parlamento di porvi rimedio al più presto.
I segnali contraddittori del Parlamento
La richiesta cade nel vuoto. Mentre
cominciano a scoppiare i nuovi scandali, governo e Parlamento non solo non
raccolgono l'invito. Ma si muovono lanciando al Paese segnali contraddittori,
su tutti i fronti che riguardano lo Stato di diritto. Due esempi, ma clamorosi
perché passati sotto silenzio. Il 28 gennaio 2014 il governo Letta approva il
decreto legge numero 4, "disposizioni urgenti in materia di emersione e
rientro dei capitali detenuti all'estero". È la cosiddetta "voluntary
disclosure", in voga in altri Paesi dell'Unione. Ma da noi viene allentata
oltre misura. Al Senato il testo originario viene modificato, le imposte dovute
sui capitali rientrati vengono dimezzate e i reati di frode "con altri
artifici", oltre alla omessa o infedele dichiarazione, vengono
depenalizzati. Di fatto, quasi un colpo di spugna, che alla fine non passa solo
perché la Camera il 19 marzo decide di stralciare queste norme e di farle
confluire in un ddl che sarà presentato in futuro.
Per uno scampato pericolo, un disastro compiuto. Il 17 maggio è entrata in vigore la legge numero 67, che introduce la possibilità di chiedere l'affidamento in prova ai servizi sociali nei procedimenti per delitti economico-finanziari con pene fino a 4 anni di detenzione. In questi casi, su richiesta del soggetto incriminato, si sospende il processo e si avvia un percorso di servizio e risarcimento, di durata massima 2 anni, al termine del quale il reato si estingue. Nella lista dei delitti per i quali si può ottenere il beneficio ci sono l'omessa dichiarazione dei redditi, la truffa, il falso in bilancio e persino il furto. Questo sì, a tutti gli effetti, ha le fattezze di un "colpo di spugna", studiato proprio per i reati dei "colletti bianchi". Il Parlamento approva unanime la legge, il 2 aprile scorso, nell'indifferenza dei più.
Il governo Renzi la Grande Speranza
Mentre riesplodono le nuove e vecchie
Tangentopoli, che vedono il potere politico alternativamente vittima e a volte
carnefice di quello economico, il Parlamento invia dunque questi strani segnali
di fumo al Paese. Delinquere non è poi così compromettente. Alla fine si può
scendere a patti. Di fronte a tanto cinismo consociativo, la Grande Speranza si
chiama Matteo Renzi. Solo lui può spazzare via la Grande Ipocrisia chiamata lotta
alla corruzione. Ma le prime mosse del premier non sono confortanti. Nel
discorso sulla fiducia alle Camere, il 22 febbraio, il nuovo presidente del
Consiglio non dice una parola sul tema della legalità e delle strategie di
contrasto al malaffare. Un silenzio che assorda, e che spinge Roberto Saviano a
scrivere una lettera aperta al premier, su "Repubblica" del 28
febbraio. Renzi raccoglie la sollecitazione, e il giorno dopo annuncia dal
salotto di Fabio Fazio, a "Che tempo che fa", la nomina di Raffaele
Cantone alla guida dell'Autorità anti-corruzione, nata un anno prima e mai
formata.
È un primo indizio, che sembra
rassicurante. Ma le mosse successive, purtroppo, non sembrano trasformarlo
nella prova che tutti aspettiamo. La vicenda del Documento di Economia e
Finanza, non aiuta a capire qual è la vera strategia del governo. Il Consiglio
dei ministri, riunito a Palazzo Chigi, approva il Def l'8 aprile. Renzi ne
illustra le linee guida, con le solite slide. Il giorno dopo, sul suo sito, il
ministero dell'Economia pubblica il testo integrale. A pagina 27 del Piano
Nazionale delle Riforme, compare un ricco capitolo dedicato alla giustizia:
"Asset reale per lo sviluppo del Paese", è il titolo. Pier Carlo
Padoan, dai tempi dell'Ocse, ha bastonato duramente l'Italia, proprio per i
ritardi sulla corruzione. Per questo, nel Def, il ministro scrive parole
chiarissime, non solo sulla giustizia civile e amministrativa, ma proprio sulla
lotta alla corruzione: occorre "rivedere la disciplina del processo penale,
con particolare riferimento all'istituto della prescrizione, ferma restando
l'esigenza di assicurare la certezza e ragionevolezza dei tempi". Più
avanti: "Introduzione dei reati di autoriciclaggio e autoimpiego, anche
rafforzando il 41 bis". E infine: "È necessario affrontare in modo
incisivo il rapporto tra gruppi di interesse e istituzioni e disciplinare i
conflitti di interesse e rafforzare la normativa penale del falso in
bilancio".
Lo strano caso del Def depotenziato
Finalmente una dichiarazione programmatica
impegnativa. Il segno che "cambiare si può". Ma sei giorni dopo,
quando il Def arriva alle Camere per l'avvio dell'iter parlamentare, il testo è
sorprendentemente cambiato. Il capitolo Giustizia rimane, alle pagine 29 e 30,
e poi a pagina 63, nel capitolo II.10 intitolato "Una giustizia più
efficiente". Si parla di tutto, dalla riforma della giustizia civile al
sovraffollamento carcerario, dalle leggi già varate sul voto di scambio a
quelle contenute nella Severino. Si propone la "mediazione obbligatoria"
e la "depenalizzazione dei reati minori", la "difesa dei
soggetti più deboli" e la "tutela dei minori". Ma per quanto li
si cerchi, i paragrafi sulle modifiche al processo penale, dalla prescrizione
all'autoriciclaggio, dall'autoimpiego al falso in bilancio, non ci sono più.
Chi e perché le ha cancellate? Una spiegazione possibile, anche se parziale, la
forniscono gli atti parlamentari. Il 16 aprile, durante il dibattito in
Commissione Giustizia della Camera, i deputati Cinquestelle almeno per una volta
fanno bene il loro mestiere. Alfonso Bonafede "ritiene che sia
estremamente grave che nella formulazione presentata alle Camere del Def in
data 9 aprile 2014 venga fatto espressamente riferimento all'esigenza di
affrontare definitivamente entro giugno 2014 il problema dei tempi di
prescrizione e che ieri, martedì 15 aprile, dopo che nella serata di lunedì 14
aprile il presidente del Consiglio si sia incontrato con Silvio Berlusconi, sia
pervenuta alle Camere una "errata corrige" da parte della presidenza
del Consiglio, nella quale è stato cancellato ogni riferimento alla questione
della prescrizione".
La risposta di Donatella Ferranti, presidente della Commissione, arriva di lì a poco: "Le correzioni apportate con l'errata corrige - replica l'esponente del Pd - erano state in realtà segnalate dagli uffici del Ministero della Giustizia alla Presidenza del Consiglio la scorsa settimana". Dunque, non sarebbe stato il premier a "depotenziare" il testo, e meno che mai l'avrebbe fatto dopo l'incontro di due ore, a Palazzo Chigi, con l'ex Cavaliere. Possiamo credere alla ricostruzione della Ferranti. Ma l'anomalia resta. E se a "sbianchettare" i paragrafi sul programmato giro di vite per la prescrizione, l'autoriciclaggio e il falso in bilancio è stato il ministro Orlando, e non Renzi, che differenza fa? Di nuovo: che segnale si vuol mandare al Paese?
Le prossime tappe del cronoprogramma
La risposta di Donatella Ferranti, presidente della Commissione, arriva di lì a poco: "Le correzioni apportate con l'errata corrige - replica l'esponente del Pd - erano state in realtà segnalate dagli uffici del Ministero della Giustizia alla Presidenza del Consiglio la scorsa settimana". Dunque, non sarebbe stato il premier a "depotenziare" il testo, e meno che mai l'avrebbe fatto dopo l'incontro di due ore, a Palazzo Chigi, con l'ex Cavaliere. Possiamo credere alla ricostruzione della Ferranti. Ma l'anomalia resta. E se a "sbianchettare" i paragrafi sul programmato giro di vite per la prescrizione, l'autoriciclaggio e il falso in bilancio è stato il ministro Orlando, e non Renzi, che differenza fa? Di nuovo: che segnale si vuol mandare al Paese?
Le prossime tappe del cronoprogramma
Siamo all'oggi. La gigantesca metastasi
delle mazzette, che si propaga da Milano a Venezia nel corpo malato
dell'"operosa Padania", obbliga il governo a fare qualcosa, subito.
Orlando ha preso tempo sui vari provvedimenti già all'esame del Parlamento da
più di un anno (dal testo della Commissione Fiorella sulla prescrizione alle
diverse proposte sul falso in bilancio). Ha rinviato tutto a un più organico
disegno di legge anti-corruzione, originariamente previsto entro l'estate e ora
forse anticipato alla prossima settimana. Ma nel frattempo deve battere un
colpo, almeno sulla promessa attribuzione dei pieni poteri a Cantone e magari
anche sull'autoriciclaggio. Se ci riuscirà, al Consiglio dei ministri di
domani, sarà tanto di guadagnato. Ma di fronte alla nuova Questione Morale, che
torna a devastare drammaticamente il Paese e a sporcarne irrimediabilmente
l'immagine, non basta più la narrazione riformista. Serve l'azione
riformatrice. Chiara e severa, senza concessioni e senza ambiguità. Anche così
si difende la memoria di Enrico Berlinguer dagli iconoclasti pentastellati.
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