da: La Stampa
Non
è vero che Grillo ha scelto di entrare nel gioco. Che
si è rassegnato alle logiche del compromesso parlamentare, dopo il flop delle
europee. Beppe la politica la fa, a suo modo, da moltissimo tempo, dosa e
distilla le strategie di breve e di medio periodo con oculatezza, talvolta
vince e talvolta perde, ma non si butta mai a caso.
A differenza di quello che può apparire, il
Beppe istrione e improvvisatore sui palchi e nelle piazze è l’altra faccia del
Beppe determinato e razionale. Un leader
double-face che non scandalizza nessuno. Quello che dice che la tv è il
peggiore dei mali (e cancella poco prima delle politiche l’unica intervista
prevista) e poi decide, un anno dopo, che invece è meglio andarci in tv e si
accomoda con agio da Bruno Vespa. Quello che dice: o vinciamo le Europee o
lascio, ma poi rimane stabilmente in sella. E quello che dopo aver detto no, no
e poi no all’odiato Pd poi ci ripensa e manda una richiesta formale di
incontro, dai toni quasi affettuosi.
Cambiare le strategie, o meglio adeguare flessibilmente le tattiche
alle contingenze della politica, annusando l’aria che tira e cercando di non
perdere
centralità, è quello che fanno i leader politici. Niente di strano,
dunque. Con l’apertura al premier, Grillo raggiunge infatti almeno due
obiettivi. Primo. Mette in imbarazzo il premier costringendolo a scegliere tra lui Berlusconi. Tra il
nuovo e il vecchio, tra i puri e gli impuri. Sinora Renzi aveva potuto spiegare
che l’accordo con Berlusconi era dovuto anche all’impossibilità di dialogare
con i grillini integralisti e solitari per scelta.
Ora il premier dovrà spiegare che al posto
di Grillo sceglie «l’inciucio» con Berlusconi. D’altro canto proporre una legge elettorale proporzionale senza premio
di maggioranza e con la sola correzione dei collegi di media grandezza
significa presentare a Renzi il contrario di quello che vuole. Come portare la
carne a un vegetariano che ha chiesto l’insalata. E non è così vero che ci
sarebbe governabilità e la possibilità per un partito di governare da solo.
Intanto occorre raggiungere il 40% (non
così facile da noi con tre partiti molto consistenti) e a differenza della
Spagna non è costituzionalmente possibile avere governi di minoranza. Il Democratellum
sarebbe una sciagura per Renzi e per il paese. Mentre Grillo non avrebbe niente
da perdere. La soglia del 5% gli permette di far fuori tutti i partiti piccoli,
compresi quelli della galassia dell’antipolitica, e di conservare un enorme
potere di veto.
Secondo obiettivo. La versione morbida del
grillismo potrà far dimenticare in fretta la surreale alleanza con la destra radicale di Farage. Nonostante
l’approvazione della rete, il cartello in Europa con il partito della destra
estrema e xenofoba inglese ha sollevato moltissime critiche, soprattutto tra i
parlamentari. Tendendo la mano al Pd, Grillo distrae il suo elettorato dalle
faccende europee e dopo essersi avvicinato a un partito di destra ha
l’occasione di mostrarsi disponibile verso uno di sinistra. Come a dire
discutiamo con tutti, siamo sempre oltre.
E così si invertono le parti rispetto allo
streaming del febbraio scorso. Lì era Grillo che non faceva parlare Renzi, uomo
delle banche e giovane vecchio della politica italiana, rimproverandogli di
essere poco credibile perché diceva una cosa per poi smentirla il giorno dopo.
Ora lo vedremo forse ostentare una predisposizione all’ascolto, con il solo obiettivo di smontare l’Italicum ed
evitare la logica bipolare e maggioritaria che contribuirebbe ulteriormente al
suo sgonfiamento.
Grillo
non ha nulla da perdere. Chi invece rischia di più è Matteo Renzi,
per la rincorsa a scendere a patti con lui. Tutti lo vogliono. Dalla Lega che
vuole ritoccare il titolo V in cambio dell’ok al Senato, a Ncd e Fi che
rilanciano sul presidenzialismo, sino a Beppe (appunto) che potrebbe
risvegliare gli appetiti per il proporzionale ben presenti in parlamento. E se
tutti rilanciano, il rischio di tornare alla casella di partenza è molto alto.
C’è da sperare che con la forza del suo
40,8% Renzi riesca ad andare avanti, nonostante i limiti strutturali di questo
governo (pur sempre di compromesso e senza maggioranza al Senato). Altrimenti
non avrebbe senso proseguire. Di palude sulle riforme istituzionali ne abbiamo già
vista molta.
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