da: Il Fatto Quotidiano – di Giacomo Salvini
Giorgetti ai superboiardi: "Arriviamo a settembre"
Venerdì pomeriggio, Palazzo Chigi. In una delle tante pause del consiglio dei ministri che deve approvare la riforma dello Sport e il decreto per l’istituzione del nuovo Ministero della Transizione Ecologica, un paio di ministri scorrono le agenzie: “Borrelli a rischio, ipotesi sostituzione in cdm” leggono ad alta voce informando la squadra dei colleghi “politici”. Alcuni restano a bocca aperta, sbigottiti: della sostituzione del capo della Protezione Civile Angelo Borrelli nessuno sapeva niente, tranne i pochi tecnici con cui Mario Draghi si confida abitualmente. Tantomeno qualcuno – nemmeno il ministro della Salute Roberto Speranza – era a conoscenza del suo successore, quel Fabrizio Curcio che aveva già guidato la Protezione Civile dal 2015 al 2017. E se la lista dei dossier su cui decide tutto Palazzo Chigi senza informare nessuno si allunga – squadra dei ministri, delega ai Servizi Segreti a Franco Gabrielli, Curcio alla Protezione Civile – anche la coesione dell’esecutivo inizia a sgretolarsi.
Dentro il governo non si respira più il clima da “tutti uniti” dei primi giorni: per ora sono spifferi e mugugni ma la tensione sta iniziando a salire. E il motivo è che, tra loro, alcuni ministri politici si lamentano di “non essere coinvolti nelle decisioni” che contano: il premier,
raccontano, ha costruito una sorta di cabina di regìa interna all’esecutivo e formata dai tecnici – dal sottosegretario Roberto Garofoli al responsabile del Tesoro Daniele Franco passando per Roberto Cingolani, Vittorio Colao e Marta Cartabia – con cui si confronta e a cui delega alcune decisioni. A volte, su alcuni dossier come la nomina di Gabrielli e quella del prossimo consigliere sanitario di Palazzo Chigi, “decide tutto da solo”. L’unico “politico” che Draghi ascolta invece è il leghista Giancarlo Giorgetti con cui ha un’antica consuetudine e che si è subito trovato in mano dossier spinosi come Alitalia, Ilva e la Rai.E un primo sintomo di questa spaccatura tra la componente tecnica e politica dell’esecutivo si è avuta proprio durante il cdm di venerdì poco prima di approvare il decreto per istituire il nuovo Ministero per la Transizione Ecologica con annessa ripartizione di deleghe ai danni del Mise. Contestualmente il premier aveva individuato due super comitati interministeriali (Cite e Citd) formati da cinque ministri ognuno che avrebbero dovuto “aiutare” Cingolani e Colao a pianificare gli interventi e decidere come spendere buona parte dei 209 miliardi del Recovery Plan. Ma in questi due comitati, nella bozza originaria del decreto, non c’era alcun esponente del Pd. E così raccontano che il capo delegazione dem Dario Franceschini si sia adontato non poco, anche se l’ha fatto notare col consueto tono felpato: “L’unico partito tagliato fuori sarebbe il Pd”, avrebbe detto di fronte ai ministri riuniti. Una protesta che non è piaciuta alla ministra della Giustizia Marta Cartabia, scelta direttamente dal premier e dal Quirinale, che avrebbe risposto glaciale: “Dario, qui facciamo gli interessi del Paese, non dei partiti”, provocando la stizza silenziosa del ministro veterano di ben 7 governi. Poi il Pd è stato recuperato in entrambi i “super comitati” con Franceschini e Orlando, ma la tensione è rimasta.
E
che le ostilità nell’esecutivo siano ormai palesi lo dimostra anche una
frase che il leghista Giancarlo Giorgetti ha detto ad alcuni dirigenti del
Ministero dello Sviluppo Economico mentre sta decidendo come ripartire le
deleghe: “Questo governo dura fino a settembre”. D’altronde, a quel
punto, il Recovery e la campagna vaccinale saranno già incardinate e ad
agosto si aprirà il semestre bianco in cui non si può andare a votare. Come
dire: da quel momento, può succedere di tutto.
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