da: Domani – di Davide Maria De Luca
Il nuovo governo ha parlato di «cambio di passo» e ha promesso di ridurre i divari tra regioni e di privilegiare le vaccinazioni ai più anziani, ma fino a oggi i problemi sono gli stessi di quando c’era Domenico Arcuri
Nel piano vaccinale e in particolare nella vaccinazione dei più anziani «persistono purtroppo importanti differenze regionali, che sono molto difficili da accettare», ha detto ieri davanti alle camere il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Tutti gli indicatori della pandemia peggiorano, i decessi ieri sono stati 460, mentre i nuovi casi sembrano invece indicare che siamo arrivati a un plateau di questa fase della terza ondata: ieri sono stati individuati poco più di 21mila casi, duemila in meno rispetto a mercoledì scorso. Ma il governo deve ancora riuscire a mettere ordine nella campagna vaccinale, l’unico modo per garantire che questa terza ondata non sarà seguita da una quarta.
Dosi mancanti
Nel suo discorso, Draghi ha ricordato che il successo della campagna vaccinale dipende da quante dosi saranno consegnate dalle società produttrici di vaccini, fin dall’inizio il vero collo di bottiglia del piano. A questo proposito, ieri si è parlato molto della scoperta di 29 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca ammassate in uno stabilimento vicino ad Anagni, dove erano state infialate. La società dice che poco meno di metà delle dosi sono destinate a paesi in via di sviluppo come parte del programma Covax e il resto dovrebbe invece essere distribuito in Europa. All’Italia, così come agli altri paesi dell’Unione, servirebbero disperatamente queste nuove dosi. Siamo vicini alla media europea nella velocità di somministrazione, siamo sostanzialmente allineati con Francia e Germania. Ciò che ci impedisce di vaccinare più persone è la mancanza di vaccini.
Divari regionali
Esistono però ampi divari tra la velocità delle diverse regioni. Ci sono 20 punti percentuali di differenza tra il numero di dosi somministrate dalla Sardegna (73,2 per cento di quelle consegnate) e la Val d’Aosta (93,6 per cento). Aiutare le regioni più lente dovrebbe essere uno dei compiti del commissario all’emergenza Covid-19, un ruolo occupato fino alla caduta del governo Conte dall’amministratore delegato di Invitalia, Domenico Arcuri. Arcuri aveva puntato la sua strategia su assunzioni straordinarie di medici e infermieri e sulla costruzione di centri vaccinali centralizzati, le famose “primule”, da affiancare alle strutture individuate dalle regioni. Aveva inoltre centralizzato ogni aspetto del piano su di sé, emarginando la Protezione civile, con il consenso del ministero della Salute.
L’arrivo del governo Draghi ha determinato un cambio della guardia al commissariato. Arcuri è stato sostituito dal generale Francesco Figliuolo a cui è stato affiancato il nuovo capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio. Esercito e Protezione civile oggi sono maggiormente coinvolti nel piano ma si tratta di un cambiamento sentito soprattutto a Roma, nelle stanze operative e nei tavoli di trattativa. Sul campo la campagna vaccinale continua a essere gestita dalle regioni.
A chi sono andati i vaccini?
Il punto centrale, come ha detto Draghi nel suo discorso di ieri, rimane la vaccinazione degli anziani. In Italia non solo siamo dietro a Francia e Germania per quanto riguarda le vaccinazioni agli over 80, ma sulle vaccinazioni nella fascia 70-79 anni siamo all’ultimo posto in Europa tra i paesi che rendono pubblici questi dati: soltanto il 4 per cento di questa categoria è stato vaccinato. In Francia sono quasi il 30 per cento. Ma a chi sono andati i vaccini che avrebbero dovuto proteggere la parte più vulnerabile della popolazione? La fetta più grande, 2,9 milioni di dosi, è andata agli operatori sanitari e sociosanitari. In Italia questa categoria è stata vaccinata a tappeto, senza limitazioni di età o in base al ruolo più o meno esposto al contagio, come hanno fatto in Francia e Germania. Le regioni hanno avuto ampia libertà di vaccinare chi preferivano: non solo medici e infermieri, ma anche studenti di medicina, dipendenti delle società di pulizia o mensa e impiegati amministrativi (alcuni effettivamente esposti al rischio, altri molto meno).
I numeri
Il risultato di questa vaccinazione a pioggia è che nella categoria sono state vaccinate più del doppio del milione e quattrocentomila operatori sanitari e sociosanitari che il piano vaccinale stimava inizialmente. A questo gruppo bisogna poi aggiungere un altro milione e mezzo di vaccinazioni destinate al “personale non sanitario”, una categoria che in teoria avrebbe dovuto comprendere chi lavora negli ospedali senza essere medico o infermiere, ma che ha finito per essere un insieme che raccoglie un po’ di tutto.
Infine, ci sono i vaccini distribuiti alle altre categorie prioritarie non legate all’età o alle condizioni di salute: circa 800mila vaccini dati al personale scolastico, altri 200mila a militari e poliziotti. In tutto, più di 5 milioni di vaccini sono andati in base a considerazioni diverse dall’età, contro i 3 milioni destinati a over 80 e altre persone fragili.
Guerra fredda stato-regioni
Due ragioni spiegano questi numeri. La prima: fino a pochi giorni fa, l’elenco preparato dagli esperti del ministero definiva in modo vago le categorie prioritarie non legate all’età, come gli operatori sanitari, o non le definiva affatto, come i cosiddetti «lavoratori essenziali». La seconda: le regioni sono entrate in competizione tra loro, incentivate dal commissario Arcuri (basta fare un giro sul portale delle vaccinazioni per notare come le diverse performance regionali siano messe in particolare evidenza), e hanno fatto pressioni sui loro dirigenti affinché tenessero alto il numero di vaccinazioni così da evitare di scendere nella classifica. Questo ha spesso spinto a vaccinare chi era più facile da raggiungere: altro personale medico e ospedaliero.
La situazione è stata resa ancora più complicata lo scorso febbraio, quando il vaccino Astra-Zeneca è stato approvato, ma vietato agli over 65 fino all’8 marzo. Le regioni sono state costrette ad anticipare la fase tre del piano vaccinale, quella che prevedeva la vaccinazione di insegnanti, forze dell’ordine e dei non meglio precisati «lavoratori essenziali», categoria nella quale sono stati inseriti dipendenti regionali, magistrati, avvocati e giornalisti. Da quello che ha potuto verificare Domani, però, non sembra che queste categorie abbiano ricevuto significative quantità di vaccini.
In Campania, ad esempio, i magistrati vaccinati sarebbero stati nell’ordine di poche decine, mentre non è stato somministrato un solo vaccino ai giornalisti, a cui era stata data la possibilità di prenotarsi.
«Cambio di passo»
Le cose dovrebbero cambiare nei prossimi giorni. L’8 marzo Aifa ha autorizzato l’uso di AstraZeneca per tutte le età e il 10 marzo gli esperti del ministero della Salute hanno presentato una nuova raccomandazione sulle categorie prioritarie dalla quale sono stati eliminati elementi ambigui come i «lavori essenziali». Le regioni hanno appoggiato le raccomandazioni che però non risulta siano ancora legalmente vincolanti. Il governo ha deciso d’accordo con le regioni di terminare la vaccinazione di personale scolastico e forze dell’ordine, ma per il resto la distribuzione di vaccini sulla base di categorie differenti dall’età doveva concludersi già due settimane fa.
Nel
suo discorso di ieri Draghi ha criticato le regioni che non si sono adeguate a
queste indicazioni, ma senza farne i nomi. Ha sottolineato però che il suo
governo intende collaborare con i territori e che non vuole iniziare un
conflitto costituzionale: i risultati migliori, ha detto, arriveranno dalla collaborazione.
È un cambiamento atteso da molti di quelli che hanno sofferto i modi autoritari
di Arcuri, ma che al ministero della Salute non tutti sono convinti che
riuscirà a mettere in riga le regioni e i loro potenti presidenti.
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