da: https://www.corriere.it/ - di Marco Angelucci
I dubbi su alcuni dispositivi che hanno ricevuto il certificato di idoneità in Turchia, ma che in base alle analisi di laboratori indipendenti non rispondono agli standard di sicurezza: nessuna azienda italiana coinvolta
Il mercato italiano dei dispositivi di protezione contro il Covid già risente degli effetti del caso di alcune mascherine Ffp2 che, pur se dotate del marchio CE, non hanno superato test indipendenti, risultando dunque «non a norma».
In particolare, alcuni test di laboratorio hanno dimostrato come alcuni modelli messi sul mercato ma dimostratisi poi non adeguati fossero dotati di un codice — CE2163 — che identifica un ente certificatore turco, Universalcert, diventato uno dei leader mondiali del settore.
A rivolgersi all’ente sono state una settantina di aziende europee; tra loro alcune italiane. Ma — lo vedremo — nessuno dei modelli non risultati a norma è stato prodotto da aziende italiane o europee.
E su tutta la vicenda continua a indagare l’ufficio antifrode dell’Unione europea.
I modelli a rischio
Alcune mascherine in commercio, e dotate di quel marchio, sono state testate da un laboratorio indipendente in Cina, su richiesta di una società di import-export, che ha rilevato difetti in quasi tutti i modelli controllati, tutti di produzione cinese. Una parte delle analisi sono poi state confermate da un laboratorio accreditato nel Guangdong, in Cina; altre sono state affidate a un altro laboratorio accreditato in Spagna.
Questo — va ribadito — non significa che tutti i modelli marchiati CE2163 siano fuori norma, anzi con quel codice si trovano mascherine di altissima qualità. Significa però che alcuni modelli non hanno superato almeno due test indipendenti, uno dei quali in un laboratorio accreditato.
Ecco quali sono:
- Aixine aix m031,
- Whenzhou Opticar FFP2;
- Crdlight Ffp2,
- Meizhuangchen Ffp2,
- Ydao Ffp2,
- Max 02,
- JY Ffp2.
I report dei laboratori, di cui esistono anche i video, sono stati acquisiti anche dalle autorità europee che indagano sulla contraffazione sull’asse Italia-Cina.
Cosa risponde l’ente certificatore, e cosa può essere successo
Il direttore generale di Universalcert, Osman Camci, si era difeso così: «Sono le aziende a dover garantire la conformità del prodotto. Non è possibile per nessun Ente Certificatore verificare ogni singola mascherina sul mercato».
Le ipotesi sul tavolo sono tre: che il codice sia stato messo in maniera illegale (cioè che alcuni produttori abbiano usato quel codice senza essere mai passati dall’ente certificatore), che il produttore abbia fatto certificare campioni diversi da quelli prodotti (cioè che i produttori abbiano mandato alcuni modelli all’ente certificatore per «passare l’esame», salvo poi mettere in commercio modelli meno performanti) o che la certificazione sia avvenuta in maniera troppo leggera. Un’ipotesi, questa, sollevata sia dall’associazione dei produttori di equipaggiamento tecnico tedeschi sia da Assosistema di Confindustria, che hanno chiesto alla commissione di verificare l’enorme mole di certificazioni rilasciate da Universalcert.
L’ente ha preso posizione in maniera molto netta, assicurando che rispetta tutte le procedure di test e che i certificati emessi sono regolari. L’azienda ha anche invitato i consumatori a controllare direttamente sul sito la validità dei certificati.
Se questo fosse il caso, rimarrebbero dunque in piedi le altre due ipotesi, ovvero che si tratti di contraffazioni o che i campioni certificati siano diversi da quelli prodotti e che dunque si tratti di una truffa dei produttori all’ente certificatore.
Le aziende italiane: «Noi perfettamente in regola»
«Per la nostra azienda, da sempre attentissima alla qualità, non è piacevole essere accomunati a chi vende mascherine difettose» spiega Mohamed Achik, direttore generale della Real Care. «La società turca offriva tempi di attesa più brevi mentre i laboratori italiani facevano fatica a stare dietro alla domanda» aggiunge. L’azienda modenese che produce mascherine super performanti ha comunque avviato le procedure per ottenere un certificato di conformità italiano che sostituirà quello turco. Lo stesso ha fatto la pugliese Irudek, che oltre al certificato turco ne ha già ottenuto uno spagnolo.
Tra
le società che hanno fatto verificare le mascherine c’è anche Gilania, i cui
prodotti sono risultati conformi. «La scelta di andare in Turchia per molti
è stata obbligata, le attese in Europa erano troppo lunghe. Ma per avere
garanzie sulla qualità bisogna guardare il produttore non l’ente che certifica»
fa notare Stefania Gander, imprenditrice bolzanina che pure produce mascherine
che vengono certificate in Turchia.
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