da: Domani – di Davide Maria De Luca
È da mezzo secolo che le grandi società di consulenza lavorano per la Pa Ma negli ultimi anni il loro contributo è stato sempre più spesso contestato
La notizia della partecipazione della controversa ma prestigiosa società di consulenza internazionale McKinsey alla stesura del Recovery plan ha causato molte polemiche negli ultimi giorni.
La polemica
«Quale mandato ha McKinsey? A quali informazioni strategiche del paese ha accesso?», si è chiesto su Twitter l’ex ministro Fabrizio Barca, coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità e da tempo sostenitore della necessità di investire e riformare la pubblica amministrazione.
In risposta alle polemiche il ministero dell’Economia ha spiegato che il ruolo di McKinsey sarà ridotto: non prenderà decisioni strategiche, ma si limiterà a un lavoro editoriale e di benchmark. Il compenso che riceverà è molto basso: 30mila euro più Iva.
“Big three” e “Big four”
La precisazione non ha placato le polemiche e il punto in discussione sembra essere
diventato il ruolo della consulenza in una pubblica amministrazione che si appresta a entrare in una storica fase di cambiamento.Oggi esistono migliaia di società di consulenza manageriale, ma le più importanti sono le cosiddette “big three”: Bain & Company, Boston Consulting e McKinsey, considerata da molti l’élite della consulenza. A queste si aggiungono le “big four”, le quattro grandi multinazionali dell’auditing: Kpmg, PricewaterhouseCoopers, Deloitte ed Ernst & Young.
Il loro lavoro consiste sostanzialmente nell’affiancare ai clienti, pubblici o privati, dei team altamente specializzati incaricati di specifici progetti che possono durare settimane, mesi oppure anni.
Consulenti al governo
Le società di consulenza nascono per aiutare i privati, ma a partire dagli anni Settanta hanno iniziato a lavorare sempre più di frequente anche con i governi. In Italia, ad esempio, McKinsey è stata chiamata nel 1977 dal governo Andreotti III per riformare l’Iri, la grande società delle partecipazioni pubbliche.
Da allora il numero di consulenze nella pubblica amministrazione non ha fatto che aumentare, insieme all’idea che la pubblica amministrazione fosse pletorica e che per funzionare bene avesse bisogno di esternalizzare tutta una serie di funzioni (un argomento che i difensori della consulenza sostengono ancora oggi).
Anni di tagli, blocco degli investimenti e delle assunzioni hanno spesso reso indispensabile il ricorso ai consulenti da parte della pubblica amministrazione. Col tempo diversi ministeri hanno sviluppato rapporti privilegiati con specifiche società. Ministero del Lavoro, Inail e Inps, ad esempio, utilizzano spesso la società Kpmg, mentre il ministero dell’Interno si affida spesso a Ernst & Young. «Spesso i consulenti vivono nei ministeri» dice un ex consulente del governo. «Sono una specie di innesto stabile, entrano con i loro tesserini e lavorano al fianco dei funzionari del ministero nelle stesse stanze».
McKinsey invece non ha un rapporto altrettanto privilegiato con la pubblica amministrazione e il suo core business rimane il settore privato. Due fonti dicono che McKinsey non è stata coinvolta nella scrittura del decreto Ristori del secondo governo Conte (come era stato scritto in questi giorni) e che l’ultima consulenza di McKinsey al ministero dell’Economia sarebbe avvenuta sotto il ministro Giovanni Tria, durante il primo governo Conte.
Le critiche
Le società di consulenza hanno ancora molto difensori. I servizi che offrono sono apprezzati in tutto il mondo e aver lavorato per McKinsey è considerato un titolo di merito per qualunque manager. Ma come hanno dimostrato le polemiche di questi giorni, l’atteggiamento nei confronti della consulenza è iniziato a mutare. McKinsey in particolare è stata coinvolta in numerosi scandali internazionali, mentre in tempi di austerità sono stati molti a polemizzare per le salate parcelle che i governi pagano a queste società.
Altri invece mettono in discussione l’utilità del loro lavoro. «Le istituzioni non seguono solo logiche di efficienza, ma nascono e si riproducono in base a logiche “politico-simboliche”», spiega Filippo Barbera, sociologo all’Università di Torino e membro del Forum Disuguaglianze e Diversità. «L’adozione di strutture organizzative, processi e format, come quello di McKinsey, conferisce maggiore legittimità. Non perché fai le cose meglio, ma perché le presenti nel modo che le altre organizzazioni del campo ritengono sia quello giusto».
Infine c’è la critica più radicale: quella secondo cui almeno una parte del denaro speso in consulenti sarebbe meglio investirlo nel migliorare le competenze della pubblica amministrazione. Come riassume un ex consulente del governo: «Oggi i giovani brillanti di cui i ministeri hanno bisogno vengono assunti dalle società di consulenza che li mandano nei ministeri a fare le slide».
Il
nuovo governo dice che intende cambiare questa situazione e che la
riqualificazione della sua pubblica amministrazione sarà un suo obiettivo
primario. Il tempo dirà se questa decisione cambierà anche i rapporti tra
governi e società di consulenza.
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