da: https://it.businessinsider.com/ - di Giuditta Mosca
Il rapporto Benessere equo e sostenibile in Italia 2020 (Bes), curato dall’Istat e giunto alla sua ottava edizione, tratteggia lo Stivale e gli italiani attraverso diversi indicatori, tra i quali spiccano l’istruzione e la formazione, le relazioni sociali, il benessere soggettivo e l’ambiente. Abbiamo scelto di concentrarci sul parametro Innovazione, ricerca e creatività perché parte fondante del progresso economico e sociale, soprattutto per quanto attiene alla cultura digitale.
Il divario digitale e quello culturale
Il Piano banda ultralarga ha, tra gli altri, il compito di ricucire quel divario digitale che allontana il Settentrione e il Meridione. Tuttavia, la velocità delle connessioni internet rimane un binario morto se non viene usato da un’opportuna cultura digitale, creata per lo più dai comportamenti dei singoli individui.
Mentre si sta ricucendo lo strappo del digital divide, la cultura digitale taglia ancora in due il Paese. Il valore medio nazionale di famiglie prive di una connessione a internet è di 23,8 punti percentuali, ciò significa che quasi una famiglia ogni 4 ne è sprovvista. Il Trentino-Alto Adige è la regione con la maggiore penetrazione, con il 18,9% di famiglie non connesse, ovvero quasi una famiglia su 5. Sul versante opposto della graduatoria e dello Stivale c’è la
Calabria, con il 32,7% di famiglie non connesse. Le cinque ultime posizioni sono occupate da regioni del Mezzogiorno, tutte con oltre il 30% di nuclei familiari sprovvisti di internet.
Eppure la banda c’è
La banda internet da sola può fare poco, lo dimostra la Sicilia la quale, pure avendo un’alta densità di cantieri già terminati, è quarta nella graduatoria delle famiglie senza internet, con il 30,6% di nuclei non connessi. Ad avvalorare la tesi anche la Basilicata e il Piemonte. Una spaccatura che coinvolge soprattutto il Sud ma non risparmia alcune aree del Nord.
L’assenza di cultura digitale è dimostrata anche dal flop del Bonus pc e internet, che rende questa carenza persino strutturale e istituzionale. Il bonus è stato concepito male dallo stato ed è stato sfruttato peggio dalle Telco. In estrema sintesi: lo stato lo ha usato con “intelligenza analogica” cercando di colmare il gap digitale e non nell’ottica di dare un’opportunità alle fasce meno abbienti della popolazione, gli operatori lo hanno improntato al risparmio massimo, offrendo ai propri clienti hardware (pc o tablet) per lo più di scarsa dotazione. La cultura digitale del Paese rispecchia oggi l’assenza di profonda cultura digitale di chi è chiamato a risolvere il problema.
Internet come strumento di inclusione
Se ne parla tanto. L’ex premier Giuseppe Conte ha ripetuto di volere ancorare alla Costituzione il diritto a internet. Un passo più simbolico che effettivo. Il ministro per l’Innovazione Tecnologia e la Transizione digitale Vittorio Colao (già amministratore delegato di Vodafone dal 2008 al 2018) ha ribadito il rapporto tra digitale e inclusione. Tra le intenzioni e tra i desideri onesti e sinceri di chi è chiamato a spingere il Paese c’è però la realtà: un italiano su cinque non ha mai usato internet. Chi crede che questo anonimo ed etereo 20% della popolazione sia ultraottuagenario e scarsamente scolarizzato dovrebbe ricredersi.
Sbagliamo a misurare
Sondaggi e statistiche presentano i dati considerando l’uso di internet come un appuntamento saltuario. Così sappiamo che, nel 2020, il 69,2% degli undicenni italiano hanno “utilizzato internet regolarmente, ovvero almeno una volta a settimana nei 3 mesi precedenti l’intervista” (come illustra l’immagine qui sotto). Per chi raccoglie ed elabora i dati, l’uso regolare di internet coincide con “almeno una volta a settimana”. C’è persino una sorta di indisposizione semantica nel porre le domande che rischia di ammantare di normalità fenomeni che di normale hanno poco o nulla. Come si può parlare di “inclusione” se la si misura in episodi settimanali. Il mondo è ormai cambiato, tra Smart working e didattica a distanza, l’uso di internet – non soltanto in un’ottica di inclusione – deve essere misurato con indici che parlino di quotidianità.
Applicando, come è doveroso fare, una mentalità ampia, abbiamo la prova che il digitale si sta piano piano affermando anche in Italia e che, nella delicata fase di transizione in cui ci troviamo, ogni segnale di crescita è da accogliere con entusiasmo. Usando l’altrettanto doveroso occhio severo, siamo fanalino di coda in Europa e, ciò che è peggio, l’Italia digitale stenta a decollare senza necessità di fare paragoni con gli altri Paesi.
I dati sotto includono la finestra pandemica, quindi il lavoro agile e le nuove formule di didattica e, infatti, si registrano le variazioni più alte degli ultimi 7 anni.
Nel teorico progetto di inclusione digitale non sembrano rientrare le donne e gli anziani. L’internauta italiano tipico è maschio e ha meno di 60 anni. C’è un divario di genere; usano internet il 72,9% degli uomini contro il 65,9% delle donne e questo nonostante, nella fascia che va dai 15 ai 19 anni, ci siano più navigatrici che navigatori. Chi ha più di 65 anni è per lo più tagliato fuori da ogni progetto di inclusione.
Il rapporto tra internet e istruzione
Area geografica, sesso ed età sono discriminanti per l’uso di internet. A queste si aggiunge il livello di istruzione delle famiglie. Nelle famiglie più istruite connessione a internet e personal computer sono presenti in ragione del 92,8%. Nei nuclei famigliari in cui, il titolo di studio più elevato è la licenza media, il tasso scende al 31,7%.
La questione culturale e il contesto
Il
contesto gioca un ruolo determinate. Ci sono interferenze alla diffusione della
cultura digitale perché si è concentrati sul cablaggio del territorio. Le Telco
si fanno sgambetti reciproci portandosi in tribunale a vicenda (i maggiori
operatori chiedono 1,1 miliardi a Tim, accodandosi a una causa analoga avviata
nel 2020 da OpenFiber sempre contro Tim per 1,5 miliardi) e il ruolo di
internet come volando per l’economia perde smalto.
Nessun commento:
Posta un commento